“Il solito niente” di Alessandra Zenarola***(*)

“Il solito niente” di Alessandra Zenarola***(*)

Sera. Quasi notte. E vuol dire per me tipo adesso, le 11 e un quarto. E di cose se ne fanno tante, nei giorni. A pensarci, la sera, non capisco come. E quasi tutte, quasi ogni giorno, sono per altri. Non mi piace vivere così, lo ammetto. E il lavoro si prende il 90% di quelle cose non per me. Facile contare le ore da sveglio e calcolare la percentuale. Ma come ogni giorno si cerca di salvare una piccola cosa e oggi, a parte essere stato a cena dai piccoli aiutanti (che poi è bello arrivare in mascherina e assaggiare l’orzotto dalla pentola col cucchiaio del popolo) ne voglio salvare un’altra, di cosa per me. Una che è sempre stata così, e adesso torna a esserlo. Lo scrivere sul blog, che adesso è un sito. Eh, sì, lo so che finisce sempre che vi parlo poco del libro e molto dei cazzi miei, ma parafrasando, il sito è mio e me lo gestisco io. Ora datemi un attimo che vado a mettere in acqua bollente il Mille e una notte e torno.

Dicevo. Era, scrivere qua, un modo per fare una cosa mia durante le giornate. E vedo che lo è ancora. Poi magari vi dico che sto facendo l’insalata per domani e mi occupo più dei colori che del contenuto, o che mi sono accorto che è uscito un disco nuovo dei Notwist e a parte la cosa bella in se (era 7 anni, eh) i Notwist mi fanno venire in mente cose diverse, tipo Laura e le birre al centro sociale, o Vincenzo e la canzone per stendere i panni (da Neon Golden, stupenda) che gli fece mettere in radio ai tempi, o quel finale di film di AGeG, con Elisabetta, visto al cine, dove la colonna sonora metteva Consequence, o quel discorso sul fatto se i Notwist fossero uno, o tanti, sempre con Laura, e che lei mi masterizzò gli Enon, e boh… tutto per il solo apparire della parola Notwist, che poi, faccio coming out, io resto uno di quelli che il disco più bello è proprio Neon Golden e gli altri li ho ascoltati molto, ma molto meno. Insomma… vedete? Quante cose che non c’entrano col libro, vero? Ah, anzi oggi, perché intanto è arrivata la notte, dicevo, oggi, è il giorno dei calzini spaiati, e domani potrò provare a spaiare i miei calzini nuovi bellissimi, coi gatti e coi cani, e mi vien da ridere quando penso che mi hanno rinfacciato, non da molto, di come si ricordassero di me alle superiori, pur non conoscendomi, perché ero quello che “metteva i calzini uno per tipo” e io mica lo ricordavo… Poi me lo sono ricordato. E non era mica per vezzo. Era perché avevo elaborato questa teoria che è perfettamente inutile porre in essere comportamenti irrazionali come unire i calzini 2 a 2, ma è più pratico ed efficiente metterli tutti alla rinfusa nel cassetto e pescare a caso, quello che viene viene. Non la penso più così, l’autismo dei colori mi domina, ma era bello pensarla così, quella volta.

Dov’eravamo rimasti? Al libro. Il libro di Alessandra, che è da tanto che non vedo, come tutti, del resto, e che non è certo la prima volta che passa qua in zona. Anzi… Il primo libro con protagonista l’investigatrice Camilla Valdimares, ricordo che mi piacque, e alla fine non mi dispiacque nemmeno “Il posto più freddo del mondo“, anche se, come lei sa bene, resto sempre un po’ più affezionato al suo libro non giallo/noir, dove non c’è la polizia ma tira aria dal locanda baricchiana surreal oceano-mare con i vari personaggi obliqui dell’Autunno dell’anno prima. Che credo sia proprio quel libro, presentato a grado, une delle ultime volte, se non l’ultima, che ci siamo visti. Insomma, tante chiacchiere per dire che anche se lei penserà di no, alla fine l’ho letto, il solito niente, ed è anche il secondo libri che è stato recensito su file di word, a settembre, e io adesso vi copincollo quelle parole. Eccole:

Ecco. Siamo giovedì. E mi preparo alla vittoria dei coyoti senza cervello che faranno stravincere il sì, che mi sarebbe anche andato benissimo, se però avesse avuto effetto immediato da ottobre eliminando i parlamentari con meno presenze in aula. E per prepararmi ero pure andato in Comune a rifare la tessera, ché la mia è piena. E vabbè, prendi appuntamento, okay, telefono stando fuori dalla porta per prenderlo dopo un minuto, ma indovina? Niente. Niente tessere nuove. Da domani. Da domani fino a lunedì. E vabbè, io domani sarò di nuovo in ferie forzate e col cats che sto a casa solo per questo e sabato e domenica son via. Lunedì ho lezioni e quindi ciaone. E io che pensavo che le tessere elettorali si facessero tutto l’anno… Che avvilimento… Ma volevo continuare a scrivere qui, in questo file di word che un domani forse diventerà una recinzione sul sito che forse avrò. Ordunque… Ho pescato a caso dalla colonna di sinistra e poi rimetterò in quella di destra, dove per ora c’è solo il pamphlet di Buzzati letto lunedì…
A proposito! Non cercate di inventare un ice tea con la red bull red. Non si riesce a dargli un senso.
Ci riproverò ma mi sa che non la si combina.
Ma veniamo al libro.
Il libro di Alessandra. Alessandra chi, direte voi. Ma Alessandra Zenarola! Perché sì, il suo libro, Il solito niente, l’ho letto. Non ricordo nemmeno quando, forse a gennaio, forse marzo, forse tra gennaio e marzo… chi può dirlo. Forse anche maggio. Insomma… è un’indistinto questo tempo dei primi sei mesi dell’anno.
E non avere il blog non ha aiutato.
Però la storia è rimasta.
Provo a ricordare.
Allora. C’è Camilla. Camilla Valdimares, quella del giallo precedente. Camilla che è la poliziotta che avevamo lasciato post cancro al seno e post rischio di essere fatta fuori.
La ritroviamo che si occupa di un bambino. Un bambino piccolo trovato fuori da un bar di Udine. Da dove viene, di chi è, cosa ci fa. L’inizio me lo ricordo bene, perché prima di riuscire a leggere un libro ho impiegato molti tentativi, in questo 2020 e lasciando passare troppo tempo tra una lettura e l’altra ricominciavo sempre. Insomma… alla fine salta fuori che il bimbo ha sì una madre, ma l’hanno assassinata e lui boh, ha visto, non ha visto? Scopriamo subito di chi è figlio, scopriamo che l’uomo non ne ha fatto mistero alla moglie e che ha solo interrotto la relazione, ma continuando a vedere del bimbetto, che la sorellastra per altro adora e la moglie boh… contenta non è. E questo è il delitto.
Ma in realtà, il giallo è solo un colore, per la Zenarola, e nemmeno credo sia del tutto tra i suoi preferiti. È una da tinte pastello autunnali o freddi blu e azzurri. Il giallo spara, si sa. E qui, non si spara molto, perché a intrecciarsi al delitto è la storia di Camilla. Anzi… le storie. Lei e il suo male. Lei e il suo uomo, che è sempre Ferrè e che c’è, non c’è… vuole esserci di più ma lei boh… e poi gli altri personaggi che arrivano o tornano. L’interprete Zora Mariç, il solito Adam(s)berti, la collega stronza, il Valerio Parmegiani che pare essere proprio uno stronzo pure lui e forse lo è davvero…
Insomma… se vi è piaciuto il precedente, vi piacerà anche questo, che forse è anche più scorrevole, come storia, indugiando un po’ meno a lungo sugli intimismi di Camilla, vero setaccio in cui passano le storie altrui, che piuttosto vengono diluite nei fatti, nell’indagine, e soprattutto nelle cattiverie di un mondo che abbiamo intorno e che non ci piace più, anche se siamo in provincia, anche se ci siamo solo vicini. Almeno a me, ma penso non solo a me.

No. Non avevo finito. E non finirò. O meglio, non vi dirò molto altro. Vi posso giusto dire che le storie si complicano, e che resta dell’indefinito. Ma vi posso dire anche che non è un indefinito che volete schiarire. Le cose complesse non sempre si desidera vengano semplificate. E semplificare le vicende umane, fatte di emozioni (soprattutto femminili) è difficile e non è necessario provarci a tutti i costi. Così ricordo la parte finale, con una matassa che si dipana – il caso si risolve, certo – ma nodi che restano, anche se più che nodi sono pensieri, giudizi, domande alle quali sappiamo di non avere risposta. 

E’ tutto, dai. Non è facile parlare di un libro quando è passato troppo tempo, ma ci tenevo a farlo, e a riporlo vicino agli altri.

Spengo Sufjan Stevens, adesso, finisco di fare l’insalata, e lavoro a qualcos’altro. Domani è venerdì, la piccola primavera della settimana, e il tempo ha scarpe leggere e calzini spaiati.


									

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