gelostellato ha scritto un libro e cerca un editore

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gelostellato ha scritto un libro e cerca un editore

 

Questo post, probabilmente, è un’inutile idiozia, e dovrei fare questa cosa in mille altri modi, più sensati e professionali, ma io voglio provare a farla così.
Ho scritto un libro. 
Un libro di racconti.
Di racconti del fantastico.
I racconti sono 20, uno in ogni regione italiana.
Ci sono due racconti bonus e una manciata di altre storie più brevi, non ambientate, anche queste con il relativo disegno. I disegni sono a colori, ma esiste una versione modificata graficamente per il b/n.
In ogni racconto c’è uno yōkai, un demone del folklore giapponese.
E per ogni racconto c’è un disegno, uno haiku citato dai grandi maestri, una breve descrizione dello yōkai che integra il racconto e non ho scritto io.
Esiste persino il prototipo di un gioco di carte che ne utilizza i disegni e si basa sugli yōkai utilizzati.
Ed esiste un libro simile fatto di dieci storie, in lingua friulana, ambientate in Friuli.
I racconti sono stati editati, hanno avuto una correzione di bozze e 2 o 3 beta lettori. In totale sono 225k, circa, e 20k le descrizioni. In media i racconti sono da 10k, con un minimo di 6500 e un massimo di 14000circa.
C’è un disegno unitario, dietro all’intero progetto.
Ho cercato di scrivere cose diverse, usando diversi plot, per storie che toccano temi differenti. Pur restando dentro le sfumature del fantastico ci sono gialli e storie d’amore, horror e weird, mainstream e temi sociali. Stile, ambientazione e cornice li accomunano. Ho cominciato a scriverli a inizio 2014, terminando un anno più tardi, quest’estate mi sono dedicato a revisioni e modifiche, ai racconti di accompagnamento, ai dettagli, Dentro a ognuno c’è anche una frase rubata a qualcuno, per una sorta di caccia al tesoro. Sono dei racconti discreti, alcuni buoni. Tutti sono sufficienti, o con una loro identità.
Non ho ancora pubblicato un libro (in italiano) – benché abbia scritto parecchi racconti e abbia avuto a che fare con il mondo editoriale – perché volevo che il primo libro fosse un libro bello, valido, sensato.
Questo libro lo è.
E lo voglio pubblicare, in modo serio, su carta.
La mia mail la trovate nella pagina dei contatti
E voi tutti, se siete o siete stati del seguaci del blog di gelo e avete piacere che pubblichi questo libro, potete aiutarmi condividendo  questa proposta editoriale al contrario.
(dalla pagina fb, da twitter o salcats quale social).
Qui sotto, per tutti, trovate un racconto di quelle manciata che non fa parte del libro, anche se è ambientato e potrebbe entrarci. Lo yōkai usato è il gasha dokuro, mentre il disegno in alto è quello per il racconto di uno yokai più celebre, il tanuki. E’ tutto. E… buona fortuna, gelostellato!

Resistenze

 

sul bambù che segna

 

una sepoltura,
una libellula.
Takai Kitō, 1741-1789

 

 

«Hai presente vicino al Carrefour? Cʼè un cimitero, non si vede nemmeno, dalla strada. Ecco… si nascondono lì, quei figli di puttana!»
Rodolfo parla mentre infila nel bagagliaio un paio di mazze da baseball. Arrotola con cura un coltello serramanico in uno straccio, prima di nasconderlo sotto la ruota di scorta, poi continua, infervorandosi. «Ci sono stato oggi, è un posto stranissimo, pieno di tombe bianche, tutte uguali. Mi sono fermato unʼora e non è passato nessuno. Cʼè una collinetta, tuttʼintorno, e in mezzo credo ci sia una specie di conca. Stanno lì, i bastardi. Quelle merde credono di aver trovato una tana sicura, come i topi».
Eugenio lo ascolta, toglie dalla tasca un passamontagna.
«Ma quanti saranno? Sei sicuro che dormono lì? Non è il cimitero dei caduti, quello? Son tutti piloti, mi pare…»
«Sì, sì, ho letto le stronzate allʼingresso. Inglesi, americani, roba di guerra sì… Ma ti pare che quegli schifosi devono annidarsi nei cimiteri? E poi che cazzo ti frega quanti sono. Più sono meglio è! Vedrai che scherzetto che gli facciamo!»
Rodolfo sghignazza, mentre cava dal garage una tanica piena di benzina e la scuote davanti allʼamico.
«Ma sei matto? Cazzo vuoi fare con quella? Non vorrai mica dargli fuoco?»
«Diciamo che voglio farli uscire… se poi qualcuno si bruciacchia un poʼ… tanto meglio».
«No Rudy… non è una buona idea», replica Eugenio a bassa voce. «Io non ci sto, così».
È nervoso, si gratta il cranio rasato, sentendo i capelli pungere, sul bicipite si gonfia un tatuaggio, identico a quello dellʼamico.
«Che fai, ti tiri indietro?»
«Se porti la benzina sì. Due mazzate volentieri, è come andare in palestra, ma non mi va che ci scappi il morto. Salta fuori un casino».
«Fottiti!», gli sputa in faccia lʼaltro, riponendo la tanica dietro il sedile.
Rodolfo ringhia mentre guida e massacra i Rammstein con un improbabile tedesco, battendo il tempo sul volante. Non ha certo bisogno di quel vigliacco, pensa. Si può arrangiare da solo, a spaccare le ossa a quei negri di merda. Stessero a casa loro, nessuno gli farebbe niente. Cosa credono di trovare qua? A rubare, vengono! A portare merda e malattie. Se fossero tutti come Eugenio ci faremmo invadere da questa feccia. «Col cazzo!» esclama prima di fermarsi nel parcheggio del centro commerciale.
Ha messo il coltello nelle tasche dei pantaloni, mazza e tanica nascoste in uno zainetto. Il volto se lo coprirà una volta entrato nel piccolo cimitero.
Si sente un eroe, mentre cammina gonfiando i muscoli.
Entra in silenzio, e da lontano sente le voci. Ha indovinato… dormono lì. Riconosce le loro lingue piene di consonanti, il loro modo di parlare incalzante. Si muove tra le tombe calpestando lʼerba soffice senza un rumore e appena superato il crinale della piccola altura, come spettri avvolti dalla luce fioca dei lampioni, li vede.
Saranno una dozzina. Alcuni distesi, altri seduti a gambe incrociate intorno a un falò immaginato. Sono tanti, pensa. Se decidessero di reagire… Poi li osserva di nuovo e si rende conto che non parlano più. Hanno paura, si rattrappiscono, appiattiti al terreno, sporchi, con gli occhi spalancati.
Si sono accorti di lui.
E lui sente di odiarli. Puzzano, pensa. Non sa da dove vengono ma puzzano tutti allo stesso modo. Un paio si defilano, ma ha chiuso lʼingresso con un lucchetto e intorno cʼè una rete che non è così facile da superare. Sì, gliela farà passare lui la voglia di cambiare paese.
«Halo?», chiede mentre si alza in piedi e si avvicina, a protezione dei compagni.
Hashim è uno dei pochi che conosce un poʼ di inglese e mandano sempre avanti lui. Non è un poliziotto, quello che ha davanti. Ha il volto coperto e li avrebbe già illuminati con la torcia, facendoli fuggire. Non è nemmeno uno di loro, però: anche se al buio si distingue solo una sagoma, è troppo imponente per avere addosso la fame.
«Hallo… » Lʼuomo si sfila lo zaino dalla schiena, si abbassa. Hashim lo vede armeggiare, è allʼerta ma nulla può quando lʼaltro scatta. La mazza lo colpisce in pieno volto, un dente vola nel buio, biancheggiando come una stella cadente. Hashim stramazza ruotando su se stesso, come un sacco vuoto. Gli altri sobbalzano, ma sembrano pietrificati dalla paura. «Gute Nacht!» ridacchia Rodolfo, avvicinandosi.
Nahid ha solo diciassette anni ma è lʼunico a reagire. Cʼè suo fratello più piccolo, accanto, e sua madre, caricandolo sulla camionetta, dopo aver venduto tutto, mentre gli riempiva le tasche di mandorle essiccate, gli aveva fatto promettere di proteggerlo. A ogni costo. Lui non sarebbe voluto andare, lui li odia, gli occidentali, vorrebbe che tutti morissero. Si scaglia contro lʼaggressore, così carico di rabbia da sentire la terra tremare, sotto i piedi scalzi. Ma lʼaltro sembra aspettarlo. Non si muove. Nahid arresta il passo, non capisce.
Poi scorge un riflesso, qualcosa di bianco che immobilizza le spalle del suo nemico.
Dalla penombra, dietro lʼuomo, emerge una figura dinoccolata, unʼaccozzaglia di pezzi lattescenti che non possono essere altro che… ossa. Le riconosce: femori, costole, clavicole, omeri… si uniscono uno via lʼaltro, con una forza palpitante, usando vertebre e falangi, come nodi per muoversi. Nahid abbassa lo sguardo in direzione di un fruscio, terrorizzato, e vede frammenti dʼosso sbucare dal terreno, arrampicarsi, saldarsi uno allʼaltro, incastrarsi fino a formare arti dalle forme nuove. Non ha forma lʼessere che ora è davanti a lui. Ha sembianze vagamente umane, ma si riconoscono fattezze animali, grottesche, impensabili. La testa è lʼultima a formarsi: centinaia di denti che corrono a conficcarsi in un ammasso tondeggiante di ossa craniche; mandibole e mascelle indistinguibili, che però si spalancano in fauci smisurate. La mostruosità emana un tanfo di putrefazione e troneggia metri e metri sopra Rodolfo, che non può nemmeno urlare: una clavicola scheggiata gli si è infilata sotto il mento, fino a bucargli il palato. Vi è una forza selvaggia, nellʼammasso dʼossa, una rabbia che la fa scattare. Un morso secco e la testa di Rodolfo sparisce, lasciando un fiotto di sangue a mezzʼaria. Un attimo dopo Nahid, che si sta pisciando addosso, fa la stessa fine. Poi lʼessere si placa. Ogni frammento dʼosso ricade a terra, come vi fosse stato gettato. I profughi rimasti, atterriti, immersi nel tanfo di chi ha liberato le viscere, osservano le schegge dʼosso brulicare, assaltare i due cadaveri, graffiare, lacerare, grattare, strappare piccoli trofei di carne e portarli con sé, sotto terra, ritornando ognuno nella propria tomba.
Restano a osservare la terra tornare placida, prima di fuggire in cerca di un altro nascondiglio.
Eugenio passeggia tra le tombe del piccolo cimitero; sulla Statale, poco lontano, il fruscio delle automobili è ancora rarefatto.
È un luogo incantevole, ebbro di pace e silenzio. Lʼerba, di un verde abbacinante, è perfettamente curata. Non una foglia intacca il manto, tra lapide e lapide. Ci sono fiori freschi, rose soprattutto; coccarde francesi, nastri a stelle e strisce, la scritta R.A.F. a introdurre epitaffi in lingua inglese che capisce a malapena. Forse avrebbe dovuto continuare a studiare… Ha guardato le date, quelle sì. Sono quasi tutti più giovani di lui: ragazzini di ventʼanni precipitati per fermare il sogno di Hitler.
Istintivamente si gratta la piccola svastica tatuata sul braccio, pensa che se la farà togliere. Guarda lʼorologio, è ora di andare; fra mezzora devʼessere in fabbrica.
Di Rodolfo non cʼè traccia, nemmeno di profughi. Eppure la sua auto è parcheggiata poco lontano. La catena che ha trovato vicino al portone è senza dubbio la sua, anche lui aveva una chiave di quel lucchetto. Cʼè anche il suo nome, allʼingresso, sul quadernetto a disposizione dei visitatori. Dopo di lui solo un certo Nahid, un nome arabo.
Per ironia della sorte, sembrano scritti con la stessa calligrafia.

 

Gashadokuro  がしゃどくろ

 

Quando centinaia di soldati muoiono in battaglia è difficile che qualcuno si occupi dei rituali necessari alla purificazione delle loro anime. Il rancore accumulato anima le loro ossa che si uniscono in un unico scheletro gigante, il Gashadokuro, che, guidato dalla rabbia, ucciderà chiunque incontrerà schiacciandolo o staccandogli la testa con un morso.

Comments

  • 19 Ottobre 2015

    Buona fortuna sì! 🙂

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  • Cinzia
    19 Ottobre 2015

    Non so bene con chi condividerlo, ma lo condividerò, anche perché il racconto in calce mi è piaciuto un sacco! In bocca al lupo, gelo!

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  • Anonimo
    19 Ottobre 2015

    Cerca di far presto, io tanto tempo non credo di averlo.
    Bellissima l'idea degli haiku.
    Dai Raf, avanti tutta
    Un strucon
    Elisa Sala

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  • 19 Ottobre 2015

    L'idea del libro mi piace molto e mi alletta. Poi sono appassionata di folklore giapponese.
    Lo youkai del racconto non lo conoscevo, ma anche il racconto mi ha convinto. Purtroppo non posso fare molto, proverò a pubblicizzarlo un po', ma la mia rete non è ampia. Se volessi, comunque, io ho pubblicato un libro presso la Società Editrice Montecovello e mi sono trovata abbastanza bene… nonostante penso cercherò qualcosa di nuovo per un auspicato prossimo volume. Ti lascio il link al loro sito, li trovi anche su Facebook!
    http://www.montecovello.com/

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    • 20 Ottobre 2015

      Grazie mille a te! Cercherò e guarderò con interesse.

      reply
    • 20 Ottobre 2015

      Grazie mille a te! Cercherò e guarderò con interesse.

      reply
  • 19 Ottobre 2015

    Bella notizia!
    Auguri, Gelo, ma hai inviato il manoscritto qui e là?

    reply
  • 19 Ottobre 2015

    Mi sembra pane per i denti di Acheron Books. Prova a dare un'occhiata al loro sito e alla pagina FB, secondo me è adatto alla loro linea editoriale 🙂

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  • 19 Ottobre 2015

    In bocca al tanuki!

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  • 19 Ottobre 2015

    Grande, proprio bello il racconto! e per il libro mi piace tantissimo l'insrimento del demone e degli haiku, come piccole pietre preziose… A libero di scrivere hai inviato nulla?

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  • 23 Ottobre 2015

    mi fido del grande Gelo, e lo comprerò a occhi chiusi. so che è serio e molto capace!

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