“Fuori fuoco” di Chiara Carminati****

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“Fuori fuoco” di Chiara Carminati****

L’ho finito stamane, questo.
Letto un po’ ieri, un po’ l’altro ieri, ma alla fine, passato velocissimo, un tre ore, toh. Non la conosco, la Carminati. Cioè, so che è udinese, che scrive per bambini, che capita ed è capitata spesso nelle biblio dove lavoro o lavoravo, a far laboratori ecc, ché mi pare che è il suo lavoro. Ho letto libri suoi per bambini, anche se non ricordo quali di preciso, e ora ho letto questo. Mi pare che abbia un rapporto buono con la lingua friulana, e con le radice, e questa è cosa buona.
So anche che ha vinto un premio Andersen, da qualche parte in passato, e che questo libro, fuori fuoco, per ragazzi – almeno nelle intenzioni, mi pare – ma pubblicato da Bompiani nella collana Assaggi di Narrativa, ecco, dicevo, so che questo libro ha vinto cose, premi, in questo 2015.
E dopo averlo letto se lo merita.
Due cose sono difficilissime, infatti, insegnare la storia e raccontare una storia. E qui le due cose sono mescolate, e sono riuscite, senza dubbio.
Difetti che non siano soggettivi è difficile trovarne e benché i libri che vedono la guerra o un evento storico dall’occhio (a fuoco, benché con un fuoco diverso) di un adolescente siano tanti, bisogna avere una certa sapienza ed eleganza narrativa perché non ne esca un doppione. E qui c’è, assieme a qualche piacevole idea e a qualche pregevole passaggio. 
Di che si parla, anyway. Si parla di Grande Guerra, che è la prima, che è mondiale, ma che noi friulani tutti tendiamo a dimenticare come protagonista delle terre nostre. Voglio dire… che la guerra sia passata di qui, okay, certo, anzi, figuriamoci, oH! ma che poi, cosa significhi veramente questo, ecco… no, non è chiaro per molti, e non sto parlando dei ragazzini delle medie eh. Parlo di quelli come me, che infatti, da questo libro, hanno imparato assai.
E’ un mezzo romanzo di formazione, dico, perché il focus è su Jolanda, una bambina che è tredicenne nel ’14 e diventa grande con l’inizio e la fine del conflitto, passando dal 24 maggio a Caporetto. 
C’è tanta storia, dentro, ma la qualità migliore del libro è quella di averla agganciata, incollata, cucita dentro la storia di Jolanda, di modo che non fosse pesante e non appesantisse. E così si racconta del Re, di chi era sua moglie, le figlie, di come era uso seguire la guerra, di dove alloggiava, di come si muoveva, di come si comportava la gente (i sudditi, sì, li si deve chiamare sudditi) ma tutto intrecciato alle vicende che ci interessano. Ovvero il viaggio – ed è proprio un viaggio vero, che parte da Martignacco e vi ritorna passando per Udine, Barbana e Codroipo – di questa ragazzina con il carattere che poteva avere una ragazzina di quell’epoca.
Jolanda non fa altro che superare la guerra e ce la racconta coi suoi occhi (è la sua terza persona a narrare) e risulta quasi sempre perfettamente credibile (il che non è facile né scontato). Prima la sua famiglia viene rimandata a casa dall’Austria, poi i maschi partono, chi per lavorare chi per il fronte, poi l’ondata dei militari travolge, arrivano le bombe, la morte, la fine del viaggio.
Ci sono cose pregevoli, dicevo. 
Buttate così a caso, come mi vengono, la creazione dell’asina, di Modestine, che accompagna tutta la storia e che è molto di più che un animale d’accompagnamento. Un’asina che rappresenta natura e mondo animali, con cui si parla e si cerca conforto, su cui ci si può adagiare e che offre moltissimo. Un rapporto con la natura che sappiamo bene come si sia deteriorato, ora, o se non altro modificato, e leggerlo così fa bene. 
Poi c’è ciò che spiega il titolo e l’idea che lo esplode. Ci sono pagine in cui (non) c’è una foto. O meglio, la foto è grigia ed è lasciata a una descrizione. E in questa descrizione si legge qualcosa che nella storia di fianco è magari tra le righe, e in cui, qualcosa, è fuori fuoco. Ed mi è piaciuta sta cosa del lasciare immagini di parole, che poi fa bene, alle nostre generazioni troppo schiave dell’immagine e della sua influenza diretta e immediata. 
Poi, altra cosa piacevole, la scrittura semplice e molto elegante, anche se ogni tanto, alcuni passaggi molto belli, ti portano al limite della credibilità del personaggio, che però non viene mai meno.
Tipo, per dire, aspettate che ve ne cerco uno e lo ricopio, che vale la pena:

Le sera di giugno non finiscono mai. Il tramonto si stiracchia sull’orizzonte come un attore che prova e riprova la stessa scena tante volte cambiando un po’ la voce. Mentre salivo verso Santa Margherita mi chiedevo se anche papà e Antonio stessero guardando lo stesso tramonto. Sembrava impossibile, guardare quel tramonto e avere dei nemici. O sparare. O essere… Non volevo pensarci. 

Ecco… molto bello, davvero. Poi tra l’altro, almeno per come li vedo io, i tramonti di giugno, dietro casa mia, son proprio così. Una meraviglia, anche se dubito che una ragazzina con l’istruzione del ’15 possa raccontarli così bene. Ma ripeto, non si percepisce perdita di credibilità, e quindi, chapeau.
Poi?
Mmm, beh, sì. C’è la scelta, che approvo, di lasciar fuori l’approfondimento delle brutture. Se c’è un morto, da mettere, non serve metterci le budella, per ottenere effetti di un certo tipo, così come non serve indulgere su bombardamenti, azioni militari ecc. Un via che ho molto apprezzato, perché tutto il libro che ne esce è leggero. Tanto leggero che l’etichetta di “romanzo storico” sembra quasi inadatta.
Poi basta dai.
Si lo so, avrei parole da spendere sulla levatrice cieca che è il mentore di Jolanda o sul personaggio di Mafalda, la sorella minora che con l’innocenza e la sfrontatezza dice grandi verità, (personaggio già visto e sentito ma del tutto riuscito ed efficace). Avrei da dire sulla contrapposizione dell’universo maschile e femminile. Sul bello dell’ambientazione e del recupero delle memorie. 
(cose deliziose come spiegare il concetto di “austriacante” o raccontare il botto di sant Osvaldo)
Ma direi anche basta.
Potrei lasciarvi qualche riga come faccio di solito, ma non mi va di scannare niente, ho mal di pancia e la partita dell’udine oggi faceva schifo e mi ha messo di malumore. 
E poi voglio fare altro. non so. Tipo una doccia e un disegno. E quindi alè, libro consigliatissimo, regalo perfetto per adolescenti che non leggono tantissimo, ma da leggere per molti. Saperne di più, sulle guerre, dalle testimonianze, è operazione preziosissima e ne avremmo tanto bisogno.

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