"Un altro mare" di Claudio Magris

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"Un altro mare" di Claudio Magris

Le prostitute arrivano in quei giorni anche loro da tutto il paese, visto che per quarantott’ore le monete scorrono e traboccano fra le mani dei bovari come le more che nel bosco del San Valentin ci si metteva in bocca a manciate, schiacciandole e masticandole senza badare se qualcuna rotolava giù per il mento. Anche indie e meticce e negre con grandi fazzoletti rossi, che si accalcano intorno al cavallo come le vacche nella prateria, gridano agitano le braccia e fanno luccicare occhi e denti

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bianchi. Scende la sera, in ciclo si rompe una fiasca di vino e si spande dappertutto, anche sulle facce arrossate ed eccitate. I bovari gettano sacchetti di monete fra le mani che si alzano e si protendono. Anche Enrico lancia il suo, non solo per prender su una ragazza scalza con una lunga treccia bruna, ma pure felice di gettar via qualcosa, come tirare sassi nell’Isonzo e farli rimbalzare in acqua. Intorno è tutto un gridare, ridere, muggire, schioccare di frusta, più in là sparano fuochi d’artificio, in ciclo scoppiano melograni e schizzano chicchi rossi nella notte. Grazie a quella ragazza sulla sella si lascia un po’ stordire dalla festa, ma la confusione, grida luminarie e ressa, gli è presto insopportabile e appena può ritorna, con alcune giornate di cammino, alla sua capanna, sposta il sasso e si mette a dormire. Non conta i giorni né le settimane, calcola il tempo secondo unità più elastiche e labili, la prima folata di nevischio, lo scolorire dell’erba, il periodo dell’accoppiamento del guanaco. Il vento soffia di continuo ma dopo un po’ s’impara a distinguere le sue tonalità diverse nelle ore e nelle stagioni, un sibilo che si sfilaccia o un colpo secco, come di tosse. Alle volte pare che il vento abbia dei colori, c’è il vento giallodorato fra le siepi, il vento nero sul nudo pianoro.
Grandi nuvole passano e spariscono, una vacca strappa un ciuffo d’erba, la terra gira ma sta anche ferma, una margherita vive un mese, un’effimera un giorno, la stella della sera si chiama anche stella del mattino. Talora il ciclo si dilata come una palla di vetro soffiato, si allontana e svanisce.
Enrico spara, l’anatra selvatica piomba al suolo, in un attimo il volo araldico è una spazzatura buttata dalla finestra. La legge di gravita è decisamente un fattore di goffaggine nella natura; solo le parole ne sono preservate, anche quelle stampate nei classici greci e latini della teubneriana di Lipsia.

Ecco. Ho cominciato con lo scannare un pezzo del libro di Magris, da Un altro mare, già edito per Garzanti.. 
Ed è un pezzo che non ho letto. O meglio, l’ho tolto dalle due pagine in cui sono arrivato 30 e 31, che sono anche le pagine in cui ho deciso di riporre il libro.
Era brutto?
No. Questo decisamente no. Sono abbastanza sicuro che le righe sopra – poi magari me le leggo – siano scritte con grande maestria e in un ottimo italiano, ricco, complesso, denso…
Eppure sì, ho deciso che non finirò questo libro, che poi è l’ultimo della serie di qualche anno fa dei Racconti d’autore, che credo di essere tra i pochi a possedere interamente ed aver ordinato e recensito sul web con cotanta regolarità.
Purtroppo avevo tergiversato alla grande.
Questo libro  continuava a girarmi e rigirarmi sugli scaffali. (è il numero 57, tra l’altro, e quindi nemmeno tra gli ultimi) e alla fine mi sono deciso. A mollarlo.
Sì perché non è periodo, e siccome è da tre anni, che non lo è, è inutile che continui a tenerlo lì, tra quelli da leggere. Quasi metà libro letto mi dicono che non possono giudicare del tutto, ma due righe ve le posso scrivere.
E anche una curiosità.
Da dire la trama, che comincia in media res, per voce di Enrico, che ci racconta un’amicizia tra tre ragazzi, goriziani, letterati, che volano alto, che sono tutti pane e greco e latino, o pane e musica… insomma, cose che non esistono più ai giorni nostri.
Enrico, Carlo e Nino sono tre amici che hanno fatto della cultura una delle colonne, forse la più forte, della propria vita, e si comincia con Enrico che ci racconta di come sta e come ripensa a Carlo, mentre è in viaggio, nel mare assoluto, verso la Patagonia.
Si parla di ideali, e altre cose così, in Un altro mare, di Magris, e insomma… si parlerà di storia, di guerra, di Tito, di fascisti, e di cose che attraversano l’Italia e facendolo attraversano anche queste vicende personali.
Insomma… il libro è molto valido e sono io che proprio venivo annoiato perché non ero nella condizione di leggere di questo tipo di letteratura.
Poi, la curiosità, è quella che la trama e il contenuto sono estremamente simili a un altro libro che, contemporaneamente a questo, avevo cominciato a leggere e che, come questo, ho mollato. Speriments di perfezion, il vincitore del Premi Sant Simon dello scorso anno, dove tre amici, diplomati, si promettono di primeggiare nelle rispettive arti studiate e si ritrovano ogni anno per vedere a che punto sono. Li ricordano tantissimo, quei tre, questi tre, anche se poi le vicende divergono e la qualità di scrittura sono pianeti altrettanto diversi. 
Insomma… la chiudo qui, e lo so, lo so che sto abbandonando questo blog. Ma maggio è un brutto mese, non riesco a leggere e a malapena riesco a gestire le cose da fare. E quindi finisco qui e vado a lavorare. Uno di tre, oggi. Giornata leggera. 🙂
Ah, vi metto però una cosa. 
Magris non l’ho mai letto, ma è diventato celebre per essere stato oggetto della prova per l’Esame di Stato del 2013. Ecco… lasciamo perdere il giudizio che posso dare sulla scelta e dello scrittore e soprattutto del brano (negativi, comunque, perché non è corretto far odiare uno scrittore vivente da migliaia di ragazzini e non è corretto riassumere la sua opera con uno stralcio banale e poco rappresentativo della sua opera) fatto sta che l’ho tradotto in friulano, così, tanto per. 
E ve lo lascio, per salutarvi.
Nol è viaç che no si traviersin frontieris – politichis, lenghistichis, sociâls, culturâls, psicologjichis, ancje chês invisibilis che a dividin un borc di un altri inte stesse citât, chês jenfri la int, chês intorteadis dentri dai nestris infiers che a sierin la strade al nestri jessi. Scjavaçâ frontieris; ancje amâlis – parcè che a definissin une realtât, une individualitât, i dan forme, salvantlis in chest mût dal indistint – ma cence idolatrâlis, cence fâlis deventâ divinitât che a vuelin sacrificis di sanc.

Savê che si plein, provisoris e svoladis, cuntun cuarp uman, e par chel meritevulis di jessi amadis; mortâls, tal sens di sometudis ae muart, come i viazadôrs, e no rimpin e cause di muart, come che invezit tantis voltis son stadis.

Viazâ no vûl dî dome lâ di chê altre bande de frontiere, ma ancje scuvierzi di jessi pûr simpri di chê altre bande. In Verde acqua Marisa Madieri, tornant a cori dilunc la storie dal esodi dai talians di Fiume daspò de Seconde vuere mondiâl, intal moment dal riscat dai Sclâfs che ju oblee a lâ vie, e scuvierç la divignince in part sclave de sô famee in chel moment angariade dai Sclâfs par vie che e jere taliane, ven a stâi che e scuvierç la partignince ancje a chel mont che la sta menaçant, che al è, in part, ancje il so.
Cuant che o jeri un frut e o levi a cjaminâ ator pal Cjars, a Triest, la frontiere che o viodevi, une vore di dongje, e jere invalicabile, – almancul fin ae roture fra Tito e Stalin e ae normalizazion dai rapuarts fra Italie e Jugoslavie – parcè che e jere la Cortine di Fier, che e divideve il mont in doi. Daûr di chê frontiere a stevin insiemi il discognossût e il cognossût. Il discognossût, parcè che là al scomençave l’inacessibil, inesplorât, menaçôs imperi di Stalin, il mont dal Est, dispès ignorât, temût e dispreseât. Il cognossût, parcè che chês tieris, tacadis ae Jugoslavie ae fin de vuere, a jerin stadis dal Stât talian; o jeri capitât li plui voltis, a jerin un element de mê esistence. Chê stesse realtât e jere insiemi foreste e di cjase; cuant che o soi tornât li pe prime volte, al è stât intal stes timp un viaç tal cognossût e tal discognossût. Ogni viaç al ten dentri, plui o mancul, une esperience di cheste fate: cualchi robe o cualchidun che al someave jessi dongje o ben cognossût si mostre forest e indecifrabil, o pûr un individui, un paesaç, une culture che o crodevin diferentis e estranis si pandin come simii e inparintadis. A la int di une rive, chei di chê altre rive i somein dispès salvadis, pericolôs e plens di prejudizis tai rivuarts a cui che al vîf di cheste bande. Ma se si tache a lâ sù e jù par un puint, misturantsi a la int che e passe e lant di une rive a chê altre fintremai di no savê plui ben di cuale bande e in cuâl paîs che si è, si torne a cjatâ il propri benvolê e il plasê dal mont.

Comments

  • 27 Maggio 2015

    Anni fa ero passata da Trieste e, dopo una visita al Belvedere, mi ero comprata subito Il Mito Asburgico di Magris. Mai riuscita a leggerlo. L'autore mi era noto per Danubio (non letto), ma l'approccio è stato disastroso. Adesso non saprei più darne spiegazione se non che mi sono scoraggiata dopo poche pagine.

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