Marzo 2015

Da non uscirne, di legno E di terra, di torba E di bastone conficcato nella mota; Di questo è la gabbia, l'intrico, La parete della casa inabitata, Ma prigioniera di un bosco. Il vento a volte guaisce, sposta, dirama, Divampa lo scricchiolio come attendesse l'edera Che non verrà,

Rendi questo abito di valanghe e tormenti, Rendi il solco tracciato Sul viso ostile della cupidigia. Rendi sterile il livore. Rendi le tasche, le scarpe, Rendi ciò che non puoi allacciare O regalare O sciogliere. Rendi le contaminazioni ai rendiconti, Ai rendimenti, alle rendite,  Perché non è inglese Non è trendy, Né

Tu che non hai mai visto la Luna Come una palla di miele, La immagini adesso increspata? Un vento cosmico che scrive nomi Alieni sulla superficie, I crateri che aspettano la zampata golosa Dell'Orsa Maggiore E una leccata dolciastra sulla faccia D'ombre e spigoli. Ora sì, ora che è

Il grande maestro vento legge le cornacchie, note bizzarre sull'alta tensione, incuranti nel mutare lo spartito e gettare via di volta in volta le chiavi. Lui non ha bacchetta, ma rami: salici per archi, larici per fiati, l'inverno che ha

Una e dodici, un caffè si fredda, la doccia che si allontana gocciolando sulla tastiera, ascolto un tizio che è un killer dalla faccia di fantasma, ma è solo un rapper, e pure bravo. Ieri per un pomeriggio mi hanno regalato