“Una questione privata” di Beppe Fenoglio****
- I miei libri da leggere che ancora non ho letto (che ne so, qui ho tanta roba, tra cui sia dei 100PSF, sia quelli delle collane di Repubblica, del Messaggero Veneto, del Corriere… andiamo da Cormac Mc Charty alla Christie, da Saramago a M.R. James, da Dick a Buzzati…)
- La libreria di scuola che ho costruito. Là ci sono edizioni poco convenzionali di libri che fa bene leggere a scuola, e tra di essi molti li ho presi perché li voglio leggere io (Lessico Famigliare, Colazione da Tiffani, Una storia semplice. Quer pasticciaccio…)
- La libreria assurda che ho costruito nella mia casa vecchia, con libri stranissimi ma anche alcuni classiconi (da 1000 pagine di Storia della Cina, alla biografia di Casanova, a Racconti giapponesi, ai brani di Borges e Casares con Isidro, a tutti i Calvini più conosciuti, a Moravia, Camus…)
Era stata Fulvia a imporgli di scriverle, al termine del primo invito alla villa. L’aveva chiamato su perché le traducesse i versi di Deep Purple. Penso si tratti del sole al tramonto, gli disse. Lui tradusse, dal disco al minimo dei giri. Lei gli diede sigarette e una tavoletta di quella cioccolata svizzera. Lo riaccompagnò al cancello. «Potrò vederti, – domandò lui, – domattina, quando scenderai in Alba?» «No, assolutamente no». «Ma ci vieni ogni mattina, – protestò, – e fai il giro di tutte le caffetterie». «Assolutamente no. Tu ed io in città non siamo nel nostro centro». «E qui potrò tornare?» «Lo dovrai». «Quando?» «Fra una settimana esatta». Il futuro Milton brancolò di fronte all’enormità, alla invalicabilità di tutto quel tempo. Ma lei, lei come aveva potuto stabilirlo con tanta leggerezza? «Restiamo intesi fra una settimana esatta. Tu però nel frattempo mi scriverai». «Una lettera?» «Certo una lettera. Scrivimela di notte». «Sì, ma che lettera?» «Una lettera». E così Milton aveva fatto e al secondo appuntamento Fulvia gli disse che scriveva benissimo. «Sono… discreto». «Meravigliosamente, ti dico. Sai che farò la prima volta che andrò a Torino? Comprerò un cofanetto per conservarci le tue lettere. Le conserverò tutte e mai nessuno le vedrà. Forse le mie nipoti, quando avranno questa mia età». E lui non potè dir niente, oppresso dall’ombra della terribile possibilità che le nipoti di Fulvia non fossero anche le sue. «La prossima lettera come la comincerai? – aveva proseguito lei. – Questa cominciava con Fulvia splendore. Davvero sono splendida?». «No, non sei splendida». «Ah, non lo sono?» <Sei tutto lo splendore». «Tu, tu, tu, – fece lei, – tu hai una maniera di metter fuori le parole… Ad esempio, è stato come se sentissi pronunziare splendore per la prima volti». «Non è strano. Non c’era splendore prima di te». «Bugiardo! – mormorò lei dopo un attimo, – guarda che bel sole meraviglioso!» E alzatasi di scatto corse al margine del vialetto, di fronte al sole.
Milton sbirciò
Sceriffo. Ora era grigiastro. Ma, pensava Milton, non era per il destino di
Giorgio, ma solo per il terrore retroattivo dei nemici sparsi a centinaia
nel nebbione, e lui Sceriffo che li passava in cieca rivista, tranquillo, incosciente,
tutto assorbito dal frullo di un uccello sperduto.– Povero Giorgio, – biascicò Sceriffo. – Che porca ultima notte si è passato. Chissà come
sta male. Avrà ancora quelle nocciole sullo stomaco.– Forse è già tutto finito per
lui, – disse un tale alle spalle di Milton.– Piantatela, – disse Pascal, mentre il telefono squillava. Era
Diaz in persona. No, non aveva prigionieri. – I miei serpenti, – disse, – non
beccano da un mese -. Ricordava benissimo
il biondo Giorgio e gliene rincresceva, ma non aveva uno straccio di
prigioniero.Un partigiano col pizzetto, che Milton vedeva per la prima volta,
domandò in giro dove lo
facessero in Alba.Rispose Frank: – Qua e là. Il più delle volte contro il muro del cimitero. Ma anche contro
la scarpata della ferrovia o in un punto qualsiasi della circonvallazione.– Non buono a sapersi, – disse quello col pizzetto. E si risentì. – Per me rose bianche.Morgan parlava già.
– Fottuted boys. Non ne ho. Chi era questo Giorgio? Dio sergente, vedi come
capita. Tre giorni fa ne avevo uno, ma ho dovuto smistarlo alla divisione. Era
un pulcino bagnato, e poi si rivelò un buffone di prima forza. Una rivelazione.
Ci fece spanciare per tutta la giornata che passò con noi. Pascal, l’avessi
visto imitare Totò e Macario. L’avessi visto suonare tutta una batteria invisibile.
Lo spedii alla divisione raccomandando di non scorciarlo, ma lo sotterrarono
nella notte. Vedi come capita, Dio sergente! Chi era questo Giorgio? – Un bel biondo, – rispose Pascal. – Se ne pigli uno fresco
fresco, non lo scorciare, Morgan, e non lo smistare nemmeno alla divisione.
Sono già d’accordo con Pan. Mandamelo in macchina.
Pascal agganciò
e vide Milton che premeva verso l’uscita.– Dove vai?– Torno a Treiso, – rispose voltandosi a metà.– Resta a mangiare con noi. Che parti adesso per Treiso a fare?– A Treiso si sa prima.– Che cosa?Ma Milton si era già avventato fuori. Ma fuori cozzò in un’altra ressa. Facevano
cerchio serrato intorno a Cobra il quale si era accuratamente rimboccato le
maniche fin sui potenti bicipiti e ora si curvava verso un immaginario catino.
– Guardate, – diceva, – guardate tutti quel che farò se ammazzano Giorgio. Il
mio amico, il mio compagno, il mio fratello Giorgio. Guardate. Il primo che
beccherò… mi voglio lavar le mani nel suo sangue. Così -. E si curvava sull’immaginario
catino e immergeva le mani e poi se le strofinava con una cura e una morbidità
spaventevoli. – Così. E non solo le mani. Ma anche le braccia voglio lavarmi
nel suo sangue -. E ripeteva l’operazione di prima sull’avambraccio e sul
lacerto. – Così. Guardate. Se ammazzano il mio fratello Giorgio -. Parlava
con la stessa morbidità e nettezza con cui si lavava, ma in ultimo scoppiò in
un urlo altissimo: – Voglio il loro sangue! Voglio entrare nel loro sangue fino
alle ascelleeeee!
Milton partì di lì e si fermò non
prima dell’arco al principio del paese. Guardò lungo in direzione di Benevello
e Roddino. La nebbia si era sollevata dappertutto, in basso non ne restava che
qualche francobollo appiccicato sulla fronte nera delle colline. La pioggia
cadeva sottile e regolare, senza disturbare minimamente la visibilità. Torse
la testa dall’altra parte e guardò in profondo verso Alba. Il cielo sulla
città era più cupo che altrove, decisamente violetto, segno di una pioggia
molto più violenta. Pioveva a dirotto su Giorgio prigioniero, forse su Giorgio
già cadavere, pioveva a dirotto sulla sua verità di Fulvia, cancellandola per sempre. «Non potrò saperlo mai più.
Me ne andrò senza sapere».
– Avanti, Riccio, coraggio.
– No. Io ho solo quattordici anni. E voglio veder mia madre. O mamma. No, è troppo grossa.
L’ufficiale sguardò i tre soldati. Due, capí, la volevano presto finita, per pietà, l’altro, lo fissava tra il sarcastico e il furioso, pareva dirgli: – A noi non fanno tante cerimonie, a noi semmai fanno un prologo di sarcasmo e a questo tu stai facendo un prologo di compassione.
Bell’ufficiale. Ma tu sei di quelli che già pensano che abbiamo torto e che siamo finiti. Ma, e noi? Noi soldati del Duce nasciamo forse dalle pietre o dalle piante?
– Avanti, forza, – ripeté il tenente, adocchiando il terzo soldato che si era aperto in grembo come a ricevere Riccio, al contrario ed identicamente ad una madre.
– No, – rispose Riccio sempre piú calmo. – Io ho solo quat…
Allora il tenente serrò gli occhi e lo urtò forte nella spalla e Riccio piombò in grembo al soldato e gli altri due gli si serrarono addosso come un coperchio. Cosí soffocavano anche le sue grida e da quel viluppo non uscivano che le gambe sospese e mulinanti del ragazzino.
Cosí andavano verso la porta carraja e il tenente li seguiva coi piedi di piombo. – assassini!Mamma!Questi mi ammazzano!Mamma!– si sentiva distintamente urlare Riccio.
Non arrivavano mai a quella maledetta porta carraja, il sergente doveva già essere appostato perché la porta si socchiuse per una pressione dall’esterno. All’improvviso quel viluppo si disfece come se una
bomba dirompente vi fosse esplosa nel centro e nel vuoto apparve Riccio, quasi seminudo, e fissava l’ufficiale, col dito puntato.
– Non mi toccate!– urlò ai soldati che gli si ristringevano addosso. – Vado da solo. Ma non mettetemi piú le mani addosso. Vado da solo. Se fucilate anche Bellini, con chi starei io in questa vostra maledetta caserma?
Iguana Jo
Concordo su tutto. Bello bello bello.
gelostellato
iguana! ma allora sei ancora di questi lidi, ogni tanto 😀 Ciao!
Iguana Jo
🙂
È stato una caso, ho aggiornato il blog dopo mesi e girando sulla bacheca di blogger ho visto che si parlava di un libro che ho amato molto, e quindi…
la_librofila
Concordo su tutto con ciò che hai scritto, libro davvero bellissimo ma quel finale "sopseso" lascia un pò l'amaro in bocca…
gelostellato
già… il finale, tragico come mi pareva essere, e se lasciato crudo, mi avrebbe soddisfato perfettamente. Forse, ho pensato, questa è solo un'idea, uno dei possibili finali, Con che cuore lo fai morire, il tuo Milton, visto che è te stesso e il tuo modo di vivere la guerra e di superarla. Forse chissà… lo avrebbe cambiato, o modificato. Oppure no. Ma resta che è davvero bello, sì, questo libro.