“Racconti italiani del Novecento” di AAVV****

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“Racconti italiani del Novecento” di AAVV****

Ehi! Voi! Là fuori… ma chi è che ha linkato la pagina dei Cento libri per sembrare fighi? No, perché qualcosa dev’essere successo, visto che, all’improvviso, tra ieri e oggi, è più cliccata della patata di una quaglia o di un dodo che fa la fusa. Boh… se lo sapete ditemelo, che mica l’ho scoperto, guardando dentro al blog. 
Comunque, a parte questo, mi piace questo blog che funziona meglio, anche se non si vede. Ci sto mettendo una vita, con 10-20 link al giorno, ma ho quasi terminato di sistemare la pagina dei libri, che insomma… alla fine è la più importante, se uno cerca qualcosa, soprattutto se quell’uno sono io.
E comunque, a proposito di libri PSF, sappiate che mi sta frullando in testa una sua prosecuzione, miglioramento: i libri PEM… ma questa cosa avverrà via mail, e romperò, intanto, a miei poveri amici di blog che hanno aderito alla solita newsletter che mando tre volte l’anno, con le cose fighe che non faccio più da tanto. Ed è ora di farne una, quindi. Se volete essere avvisati anche voi, scrivetemi una mail e ditemi di ficcarvi dentro.
Ma non era di libri PEM o PSF che volevo parlarvi, in questa pausa pomeridiana che non impiegherò studiando. Mi rilasso parlandovi di questo libro vecchio, che ho trovati sugli scaffali del mio pusher di libri vecchi, e che mi sono subito preso per usarlo a scuola, ché insomma… qualche analisi di testo non fa mai male, né a me, né ad altri.
Racconti italiani del Novecento, ho letto, e mi sono detto WOW! subito, perché proprio in quei giorni mi stavo chiedendo quali fossero i grandi autori celebri del secolo scorso, che si erano dilettati di narrativa breve con una certa regolarità e successo. Okay… si sa, i miei amori sono tutti per Calvino e Buzzati, ma di quelli sappiamo. Così come sappiamo anche di Scerbanenco, o di Piero Chiara. Ma certe cose, invece, non si conoscono, e in effetti posso dire che ho trovato belle sorprese.
La narrativa breve è bella. E’ inutile menarla. Continuo a chiedermi come si possa continuare a chiedere a uno che scrive racconti perché non scrive un romanzo e non si faccia il contrario. Ridicolo. L’italiano, una lingua così bella e densa e ricca, come puoi non pensare di impiegarla sul breve, benché sia difficile, e non, come ricordava Lansdale, detto da non mi ricordo chi, usare il romanzo, che è un modo facile di scrivere un racconto. Insomma… mi è piaciuto, questo libro della Einaudi scuola, e se lo avessi avuto come libro di narrativa, a scuola, ne sarei stato felice. 
Non avrei apprezzato tutto, questo no, ma in linea di massima i racconti sono affascinanti, non troppo noiosi, e pur coprendo uno spettro vario di generi e sottogeneri, credo siano in media buoni pezzi.
Quindi son contento, di averlo letto. 
Vi dico, e non so fare di meglio, quelli che mi son piaciuti di più, anche perché magari sono anche di facile reperibilità, che ne so, su classicitaliani o in giro nel web, se non proprio come traccia per recuperarsi la raccolta di cui fanno parte. Lo sfoglio con voi, quindi.
Allora… il primo che mi è piaciuto è stato Il tacchino di Natale” di Moravia: surreale, ironico, forse con una struttura già usata e/o classica (ho letto il racconto di Lansdale identico, ma con l’orso, poco tempo fa) ma davvero gradevole, e con una scrittura elegante. Lo leggerò, Moravia. Devo.
Non che i primi due, che sono di Arpino e Celati, siano stati brutti racconti. Anzi… sempre dentro alla fantasia, e sempre scritti con eleganza, fiabeschi e sul surreale andante (Gatto Mammone e Come fa il mondo ad andare avanti) ma questo del tacchino era più figo.
Poi c’era Benni, e non mi è piaciuto, anzi. Ma capisco che un certo umorismo oramai non lo digerisco più di tanto. Il marziano innamorato, era il pezzo, e gioca sui soliti stereotipi barzelletteschi dell’alieno che arriva in terra. Subito dopo, però, a chiudere la lezione sul racconto di fantasia, c’è Calvino, con un pezzone. Le figlie della luna, tratto dalle Cosmicomiche, è pezzo evocativo e difficile, ma ti scaraventa dentro un mondo di favola vera e perfezione linguistica del quale non posso non lasciarvi un brandello. Leggete, dai, che fa bene alla salute.

In questo mondo in cui ogni oggetto, al minimo accenno di guasto o invecchiamento, alla prima ammaccatura o macchiolina, veniva immediatamente buttato via e sostituito con un altro nuovo e impeccabile, c’era solo una stonatura, solo un’ombra: la Luna. Vagava per il cielo, spoglia tarlata e grigia, sempre più estranea al mondo di quaggiù, residuo d’un modo d’essere ormai incongruo2.
Antiche espressioni come lunapiena mezzaluna ultimo quarto continuavano a essere usate ma erano soltanto modi di dire: come la si poteva chiamare «piena » quella forma tutta crepe e brecce che pareva sempre sul punto di franare in una pioggia di calcinacci sulle nostre teste? E non parliamo di quando era tempo di luna calante! Si riduceva a una specie di crosta di formaggio mordicchiata, e spariva sempre prima del previsto. A lunanuova, ci domandavamo ogni volta se non sarebbe più tornata a mostrarsi (speravamo che sparisse così?) e quando rispuntava, sempre più somigliante a un pettine che sta perdendo i denti, distoglievamo gli occhi con un brivido.
Era una vista deprimente. Andavamo nella folla che con le braccia ingombre di pacchetti entrava e usciva dai grandi magazzini aperti giorno e notte, percorrevamo con lo sguardo le scritte luminose che rampando1 sui grattacieli avvertivano momento per momento dei nuovi prodotti lanciati sul mercato, ed ecco la vedevamo venire avanti, pallida in mezzo a quelle luci abbaglianti, lenta, malata, e non potevamo scacciare il pensiero che ogni cosa nuova, ogni prodotto appena comprato poteva guastarsi sbiadire andare a male, e ci veniva meno l’entusiasmo a correre in giro per far compere e a sgobbare sul lavoro, e ciò non era senza conseguenze sul buon andamento dell’industria e del commercio.
Cosi ci si cominciò a porre il problema di cosa farne, di questo satellite controproducente: non serviva più a nulla; era un rottame da cui non si poteva recuperare più niente. Perdendo peso, andava inclinando la sua orbita verso la Terra: era un pericolo, oltretutto. E più s’avvicinava più rallentava il suo corso; non si poteva più tenere il calcolo dei quarti; anche il calendario, il ritmo dei mesi era diventato una pura convenzione; la Luna andava avanti a scatti come stesse per crollare.

Non è bello? Sì, lo è, non rompetilcazz. 
E insomma, poi c’è una sezione di antagonisti e protagonisti dove mi è piaciuta una novella per un anno di Pirandello, Il corvo di Mizzaro, che trovate qui, che è pure bella cruenta, alla fine, come anche questa, per altro, se vi va una cosa che finisce in tragedia ma leggera.
Prima di questa c’era Il ladro Luca, di Bontempelli, breve e graziosa. Poi c’è Zolfo, che è un raccontino di Levi che ce lo consegna come scrittore di fabbrica, e non di guerra. Molto bella anche questa, anche se non farà certo impazzire i ragazzini, questo no.
Andiamo avanti: La madre, di Svevo, che poi è una storia di pulcini, che regala l’idea dei punti di vista. Secondo me ha più un valore di curiosità, perché quello simbolico si getta in un concetto piuttosto banale di punti di vista e relatività dell’esperienza. Resta però scritta molto bene, davvero.
Molto tenera, che strappa malinconici sorrisi e dolcezze di pensiero, Una parente d’acquisto, di Beatrice Solinas Donghi, una delle poche donne presenti, che non conosco, ma che mi pare scrittrice di razza, per questo stile romantico e di memoria delle piccole cose.
E poi c’è Tommasino degli schiaffi, di Piero Chiara. Delicato racconto ironico che fa ridere e ragionando sempre sui piunti di vista ci narra di una storia ambientata a Cividale, tra l’altro, e in cui non sempre chi ti prende a schiaffi ti vuole male. Infatti, il povero Tommasino, si vedrà la sua esile esistenza rovinata proprio da uno che lo voleva difendere. Da leggere, sì.
E siamo solo a metà libro. E scopro, qui, il nome di Bilenchi, che mi parla di un “errore geografico” in un racconto in prima persona che strappa sorrisi e nervosi e dove si racconta dei butteri e della maremma. Bello. Non lo conoscevo, ‘sto autore.  E non conosco nemmeno Landolfi, con la sua “pioggia“, che non era un cattivo racconto, anzi. 
C’è anche spazio al Buzzati surreale, in cui uno a cui è stata prescritta la morte deve alfine morire, perché non è tollerabile che continui a non essere malato, e allora bisogna provvedere. Il buon nome, va salvaguardato, insomma. E dalla sezione punti di vista, si passa alla sezione “vita e storia”.
C’è un Beppe Fenoglio, su una sposa bambina, molto bello, e breve, ma con piglio. E c’è un altro Calvino, stavolta di guerra, un po’ fiabesco: Il bosco degli animali. E poi Natalia Ginzburg e Gadda, con il loro stile riconoscibile, (Inverno in Abruzzo e La fidanzata di Elio, i loro pezzi)
Tutti bei racconti, davvero. Mi bastano poche righe per ricordarmeli alla perfezione. Forze il più debole della sezione è quello di una tal Martina Vergani, che non conosco, che è bello, ma di fronte agli altri mosti indebolisce.
Infine il Thrilling, con un paio tra i migliori.
C’è un gran Scerbanenco, per esempio, con una detective story che già dal titolo è un programma: “Stazione centrale ammazzare subito“. E c’è un ottimo, ottimo Sciascia, con un thriller psicologico, una storia di intrighi e molti tradimenti, molto moderna. Gioco di società. Giusto il titolo, forse, è banale. Il Tabucchi, forse, è deboluccio, però chiude dignitosamente, mentre non ho amato il giallo di Renato Olivieri, pur sufficiente, e nemmeno Il sospetto di Soldati, anche questo più che dignitoso.
Bene, ve li ho detti quasi tutti. E’ stato davvero un viaggio denso e proficuo, questo, in mezzo ai nostri narratori di razza. Più donne che uomini (evidentemente la natura femminile è verbosa per natura 🙂 ) e più pezzi strani che normali. E niente di realmente palloso.
Tra l’altro, alla fine, c’è un po’ di didattica e di spiegazione con esercizi e analisi dei pezzi. 
E’ tutto, e mentre per posta mi è arrivato un graditissimo libro di racconti (il mio premio per il secondo posto scheletrico) che ho deciso di provare a leggere, anche se è di esordiente e avevo detto che leggevo solo classici, io adesso chiudo il post, e vado a mettere una coca cola in freezer, perché si ghiacci un po’, e poi mi metto a leggere Fenoglio, che lo voglio finire, prima della fine del week end, anche perché alle sei si torna a lavorare, ortomio!

Comments

  • 28 Novembre 2014

    Pensa che da ragazzina facevo fuori le antologie scolastiche, in quei tempi non erano strutturate come le attuali, erano semplici.
    Un modo semplice per avvicinarsi ai grandi scrittori del passato.
    Troppi scrittori sono scomparsi, troppi.

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