“Garibaldi fu ferito. – E noi?” di Paolo Nori****

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“Garibaldi fu ferito. – E noi?” di Paolo Nori****

Ho letto questo libro per un motivo particolare e ho fatto bene.
Prima il motivo, poi perché ho fatto bene.
Avete presente che i libri per sembrare fighi sono cliccatissimi, no, in questi giorni? E io non so perché e in realtà non mi interessa poi tanto, ma siccome il blog è rimesso a nuovo sto aggiustando link un po’ dappertutto e quindi mi casca l’occhio altrettanto dappertutto.
E allora son curioso e cercavo.
Stavo cercando dentro al blog, e nelle statistiche di shinyshat, e non so se avete presente, alla fine, son cose meravigliose e anche un po’ angoscianti. Ti dicono tutto, o comunque, se non tutto, troppo.
Io ho zero interesse per accessi e popolarità. Aggiorno il blog per scrivere le cose dei libri per me, per capirle meglio e ricordarle, e le cose per gli altri le scrivo per condividere belle cose, se possibile, e magari venirne a conoscenza di altre.
E insomma… stavo curiosando dentro quelle statistiche che non ricordavo più la password, nemmeno. E infatti eravamo rimasti a due password fa!
E c’è un sacco di roba, ma non quella che cercavo.
Per dire, se io ora vado qui, a vedere le ultime visite, mi dicono proprio a che ora, con che browser e blablabla… aspettate che vi faccio la foto e vi mostro
Ecco, capite? E se invece, per dire, vado a vedere le chiavi di ricerca, a parte vedere le solite parolacce, (perché sappiatelo, se io adesso scrivo sesso con scimmie vergini di segno zodiacale toro e e con tre tette, state pur certi che ci sarà qualcuno, prima o poi, che cerca su google questa stringa e arriva su questo blog e si indispettisce, proprio perché caro mio che ora forse legge e stavi cercando scimmie con tre tette, ecco, qua si parla di libri e quindi niente. il primate da tre seni, te lo devi andare a cercare altrove) vedo anche cosa cercava chi è arrivato qui…
Ebbene. Non ho scoperto perché cliccano i 100 libri PSF, però ho scoperto il sito di Viviana Picchiarelli (è inutile, mi fa pensare a Woody Woodpecker, è troppo forte) che è una scrittrice, anche abbastanza quaglia, mi pare, che twitta un sacco e che, se andate sul suo sito, trovate tutte (ma proprio tutte) le recensioni della collana Racconti d’Autore, di cui sapete che ero ghiotto.
Cioè, non è che me le ruba, eh, mi cita. Però poi copincolla il pezzo intero, così, con tanto di cazzi miei (che lo sapete che son tanti) e io insomma, quando ho messo sul suo “cerca” gelostellato e ho trovato tutti i racconti d’autore ho provato sentimenti contrastanti.
Mi sono sentito un po’ orgoglione, cioè tipo, se li mette le piacciono, no? e anche un po’ defraudato, del tipo, e ma che, perché li devono leggere là, i cazzi miei, e non qui, che è casa loro?
E poi, anche, mi sono sentito un po’ in colpa perché mica li ho letti tutti, i racconti d’autore, e le mancano dei pezzi, quindi, anche se oramai son post di due anni fa. 
Ho appena finito di sistemare le due pagine relative e me ne mancano due.
Un magris, che mi sa che è un po’ pesantuccio, e un garcia lorca, che lo avevo iniziato e faceva cagare. E mi mancava, fino a ieri mattina, questo qua, di Paolo Nori, che ha due titoli, perché son due racconti, e io continuo a leggerlo come un titolo solo, che per altro ha anche un bel significato:
Garibaldi fu ferito. E noi?
Un domanda sulla nostra attitudine e contributo alla causa del nostro Paese che è molto accusatoria. Invece no, sono due racconti, o meglio, due discorsi, che non c’entrano molto uno con l’altro, o forse anche sì, a dire il vero.
Ma torniamo al sito della picchiarelli, che non so, ora provo a seguirla su twitter, anzi, dopo, quando twitto questo post, così vedo se vede che qui c’è una recensione che le manca, ché io, va detto, mi sentivo in colpa, di non aver finito di leggere la collana, ma se fosse per me, mi sbatteva anche il cats, ma insomma… se lo desideravano altri, si sa, è là che riposano i sensi di colpa, nei desideri insoddisfatti altrui.
Ma quanto l’ho fatta lunga eh?
Anyway. Ho letto un po’ ieri appena sveglio, un po’ ieri sera prima di cena, mentre mi bevevo una birra e mangiavo grissini e formaggio, ed era uno di quei bei momenti che mi vien voglia di fotografare e condividere con altri, e infatti l’ho fatto, e posso – credo – anche mettervi la foto, e ve la metto va (potete leggervi pure il pensiero, se vi va). E insomma… mi sono reso conto che è un libro strano, che è un discorso, anzi, e che è un divagare attorno a piccole certezze informative e di beltà. 
Io non lo conoscevo, Paolo Nori, non che lo conosca adesso, ma ha delle cose belle. La cosa bella che ho scoperto, ed è uno dei motivi per cui ho fatto bene a leggerlo, è il suo sito. Un bel sito!
Figo… lui ha il sito che vorrei io se fossi uno scrittore, che poi è un po’ come questo blog. Nel senso che lui scrive tanti libri, e quindi aggiorna il blog con post brevi e spesso citazioni belle, io non scrivo un cazzo o quasi e aggiorno il blog con post lunghi come questo.
(La verità è che mi rilassa, aggiornare il blog per me, e adesso volevo rilassarmi, visto che a parte fare il couscous a frutti di mare e una colazione da re, ho studiato tutto il giorno). 
In ogni caso, mi piace l’idea di mostrarsi, condividere cose belle, che cogli nel suo sito, e quindi, d’oggi, se mi capita un Paolo Nori tra le mani, lo rubo e forse chissà.
Ma veniamo al libro. Che è scritto un po’ come io sto facendo ora, scrivendo questo post, ma vi regala, tra una cosa e l’altra, delle cose belle. Alcune molto, molto belle.
Poi lo so, può essere pesante, quel modo lì di parlare per scritto, ché insomma, a recitarli, questi due racconti-discorsi, puoi fare le facce, le battute, usare il corpo e puoi far ridere un sacco. E infatti lui mi pare che lo faccia continuamente, visto che ogni giorno ha un reading.
Ma è inutile che continui a parlare a vanvera, che vanvera le cose le sa già, gliele dicono già in tantissimi. Meglio che cerchi due cose, Due cose di questo libro, due cose che mi sono piaciute tanto.
Una è sua, fa capire come sono i racconti, l’altra è una citazione che lui giudica, e io trovo che quando uno ti fa vedere le cose belle, che tu non avresti visto mai, allora vale quasi quanto chi le cose belle le ha prodotte.
Aspettate, vado, scanno, e torno.
La prima è del primo pezzo, che parla di Risorgimento, e della figura di Ciro Menotti, in particolare, ma dentro leggete anche di Parma, di Modena, di Migliarina, di Saddam Hussein, di Sai Baba, e insomma… di un sacco di cazzi suoi, che però alla fine c’entrano.
Eccovi il pezzo bello, che lo sapete che a me i cognomi piacciono.

La moglie di Ciro Menotti si chiamava Francesca Moreali. Ciro Menotti invece si chiamava Ciro Menotti e veniva da una antica famiglia di Carpi, anche se lui era nato a Migliarina, come vedremo, che non è proprio Carpi, ma la famiglia, sua, era di Carpi Carpi, mi sembra, e inclusa fin dal 1200 tra le famiglie civili e benestanti di Carpi. Anche se non si sono chiamati sempre Menotti. Nel 1200, scrive Mario Pecoraro nel libro Ciro Menotti, un uomo che fece l’Italia, nel 1200 la famiglia Menotti si chiamava famiglia Ubertelli; poi, non conosciamo la ragione, scrive Pecoraro, si son chiamati Fassi, e verso la fine del ‘400 vennero chiamati Menotti da un tal Bartolomeo Fassi soprannominato Menotto, o Minotto, per il suo vezzo di rispondere spesso M’è noto, m’è noto, a chi gli diceva qualcosa. E sembra che il Fassi Menotto, con chi insisteva a dirgli delle cose che lui sapeva già, perdesse spesso la pazienza e arrivasse sovente a dargli del becero e del boccalone. Quest’ultima parte è un po’ una cazzata, me la sono inventata io. No lo dico perché delle volte, quando uno fa il mestiere di scrivere i libri, gli succedono delle cose strane. 

Certo, estrapolata, la cosa, si capisce meno, ma resta una piccola beltà, il sapere perché Menotti si chiamava così.
E poi un pezzo citato, e commentato, prima e dopo, che vi riporto, e vi consiglio di leggere, perché son cose belle. Poi magari, io l’ho letto poco dopo aver passato la mia unica ora libera del week end per correre o quasi, a passeggiare con la vecchia per i campi autunnosi, e ci ho anche le prove, per dire, e quindi il pezzo, magari, lo sentivo di più, ma penso che sia bello in valore assoluto.
Leggete dai.
Ancora più incredibile è il fatto che uno di Modena dica No, quel posto lì descritto da Stendhal, quel posto schifoso lì, non è Parma, è Modena, ma Delfìni era bello per quello, che era un marziano, e quel libro lì, Modena 1831, città della Chartreuse c’è una cosa, subito all’inizio, che se mi permettete ve la leggo, è brevissima, e fa così:

II giorno 7 febbraio venivo chiamato al telefono. Mi si diceva che la Mamma era gravissima. Invece era morta la sera prima.
La sera del giorno 6 ero stato in trattoria con due cittadini di quella città alla quale avevo inteso, e intendevo, portar via il romanzo per cui va celebre in tutto il mondo.
Durante il viaggio, sul treno che mi portava a Modena, il mio pensiero non esisteva più. La mia testa era imbottita, oltre che di dolore, dell’immagine e delle immagini di Colei che era stata la mia Mamma, di Colei che mi aveva insegnato nella vita esserci una sola cosa che abbia valore: la Grazia. […]
La Mamma era stata, oltre che mia madre, la cugina più vicina della mia parentela. Essa era stata la mia sola vera Fidanzata. Avrei dovuto e voluto essere il Suo custode. Se ho sempre mancato al mio dovere, niente di male per Lei. Il Suo custode fu sempre presente in Lei stessa. C’era del resto Chi L’aspettava. Il papa, morto il 28 giugno 1909, la stava aspettando da 53 anni. Sorridente, dolce, scanzonato, aspettava la Mamma. Intatto nel viso, nel corpo, nella barba, nei capelli (così come risultò all’apertura della cassa, nel cimitero di Modena, la mattina del 10 febbraio 1962, davanti a me e al mio giovane e carissimo cugino Paolo Tardini e al direttore del cimitero) egli si lasciò vedere da me per la prima volta nella mia vita. Non avevo mai avuto un ricordo visivo di lui. Lui, mio padre, aveva 33 anni; e io, suo figlio, cinquantaquattro. Unico al mondo, io credo, ho visto per la prima volta il papa: lui, in età di un mio figlio; io, in età di suo padre!

Ecco, io non so voi come la pensate, per conto mio, uno che scrive delle cose così può dire anche che Pierre Bezuchov, il protagonista di Guerra e Pace, è di Sassuolo va bene lo stesso.

E insomma… questi due erano del primo discorso, dove si parla di Risorgimento e di Menotti. Nel secondo, che è bello uguale, si parla di ridicolo, di cos’è e come vederlo, ma si parla invece di bontà, e di piccole cose, che vanno salvate, ogni giorno, e sapete una cosa? Ripensando a quel pezzo, a uno di quei pezzi, del secondo racconto, mi ritrovo pienamente. Sull’essere buoni, dico, sul costruire la beltà della vita con piccoli – minuscoli – pezzi. Da scovare e conservare. Si salva una piccola cosa al giorno (per dire, fossi in voi, metti caso che oggi non avete salvato niente, prendetevi uno dei due pezzi lì) e tra l’altro, io a questo libro, a questi due racconti, ci metto quattro stelle, anche se quando l’ho iniziato mi sembrava uno da due.
E in quanto a me, che vi saluto, che vado ad attaccar l’acqua calda per la doccia, mi sono salvato ieri cose migliori. Non che questi due pezzi non meritassero, ma le due foto che ho fatto con la vecchia, che posso mettervi anche, tanto oramai siete di casa, ecco, io mi son salvato quelle. 
Di meglio, non si poteva.

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