“Garibaldi fu ferito. – E noi?” di Paolo Nori****
La moglie di Ciro Menotti si chiamava Francesca Moreali. Ciro Menotti invece si chiamava Ciro Menotti e veniva da una antica famiglia di Carpi, anche se lui era nato a Migliarina, come vedremo, che non è proprio Carpi, ma la famiglia, sua, era di Carpi Carpi, mi sembra, e inclusa fin dal 1200 tra le famiglie civili e benestanti di Carpi. Anche se non si sono chiamati sempre Menotti. Nel 1200, scrive Mario Pecoraro nel libro Ciro Menotti, un uomo che fece l’Italia, nel 1200 la famiglia Menotti si chiamava famiglia Ubertelli; poi, non conosciamo la ragione, scrive Pecoraro, si son chiamati Fassi, e verso la fine del ‘400 vennero chiamati Menotti da un tal Bartolomeo Fassi soprannominato Menotto, o Minotto, per il suo vezzo di rispondere spesso M’è noto, m’è noto, a chi gli diceva qualcosa. E sembra che il Fassi Menotto, con chi insisteva a dirgli delle cose che lui sapeva già, perdesse spesso la pazienza e arrivasse sovente a dargli del becero e del boccalone. Quest’ultima parte è un po’ una cazzata, me la sono inventata io. No lo dico perché delle volte, quando uno fa il mestiere di scrivere i libri, gli succedono delle cose strane.
Ancora più incredibile è il fatto che uno di Modena dica No, quel posto lì descritto da Stendhal, quel posto schifoso lì, non è Parma, è Modena, ma Delfìni era bello per quello, che era un marziano, e quel libro lì, Modena 1831, città della Chartreuse c’è una cosa, subito all’inizio, che se mi permettete ve la leggo, è brevissima, e fa così:
II giorno 7 febbraio venivo chiamato al telefono. Mi si diceva che la Mamma era gravissima. Invece era morta la sera prima.La sera del giorno 6 ero stato in trattoria con due cittadini di quella città alla quale avevo inteso, e intendevo, portar via il romanzo per cui va celebre in tutto il mondo.Durante il viaggio, sul treno che mi portava a Modena, il mio pensiero non esisteva più. La mia testa era imbottita, oltre che di dolore, dell’immagine e delle immagini di Colei che era stata la mia Mamma, di Colei che mi aveva insegnato nella vita esserci una sola cosa che abbia valore: la Grazia. […]La Mamma era stata, oltre che mia madre, la cugina più vicina della mia parentela. Essa era stata la mia sola vera Fidanzata. Avrei dovuto e voluto essere il Suo custode. Se ho sempre mancato al mio dovere, niente di male per Lei. Il Suo custode fu sempre presente in Lei stessa. C’era del resto Chi L’aspettava. Il papa, morto il 28 giugno 1909, la stava aspettando da 53 anni. Sorridente, dolce, scanzonato, aspettava la Mamma. Intatto nel viso, nel corpo, nella barba, nei capelli (così come risultò all’apertura della cassa, nel cimitero di Modena, la mattina del 10 febbraio 1962, davanti a me e al mio giovane e carissimo cugino Paolo Tardini e al direttore del cimitero) egli si lasciò vedere da me per la prima volta nella mia vita. Non avevo mai avuto un ricordo visivo di lui. Lui, mio padre, aveva 33 anni; e io, suo figlio, cinquantaquattro. Unico al mondo, io credo, ho visto per la prima volta il papa: lui, in età di un mio figlio; io, in età di suo padre!
Ecco, io non so voi come la pensate, per conto mio, uno che scrive delle cose così può dire anche che Pierre Bezuchov, il protagonista di Guerra e Pace, è di Sassuolo va bene lo stesso.