"L'autunno dell'anno prima" di Alessandra Zenarola****

"L'autunno dell'anno prima" di Alessandra Zenarola****

Succede questo. Ieri sono andato al mare.
Ho scritto quattro haiku che mi piacciono e ho letto.
Al mare, poi, ha anche piovuto, ma io ero già andato via.
Avevo anche finito, prima di andare, questo libro, “L’autunno dell’anno prima” di Alessandra Zenarola. Lo avevo iniziato nel pomeriggio del giorno prima, riuscendo a leggerne… boh, 20 pagine.
Ora, per me, in questi tempi malefici maligni maledetti malvagi e altre cose con la ma, 20 pagine sono tantissime. Figuratevi ieri, che ho continuato e finito con le rimanenti 180!
E sapete perché?
Perché questo è davvero, ma davvero un bel libro. Forse il migliore, che ho letto di recente, devo dirlo, e siccome mi sono staccato dai racconti della Munro, con l’idea che se non mi fosse piaciuto l’avrei mollato, la cosa vi dovrebbe far capire che questo libro vale molto.
Ma andiamo per ordine, e parliamo di cose accazz come faccio di solito.
Oggi, per esempio, sul messaggero venetico, oltre mezza pagina di pulp, c’era anche mezza pagina di Cao, la scrittrice nostrana che furoreggia sulla scia delle sfumature erotiche con i suoi erotismi che mi dicono decisamente migliori. Non l’ho letta, e credo non lo farò, no time for this.
Però oggi, che c’era un estratto del nuovo libro, be’, mi son detto, lo leggo.
E credetemi, sarò io una pigninculo, ma proprio non ci sono riuscito, e perché avevo in testa questa scrittura, da ieri, che è decisamente curata e con uno stile limpido e pieno di sfumature, che ha una sua personalità. Oh, certo, come tutti gli stili che raggiungono il loro equilibrio, potrebbe anche non piacere, ma è innegabile che vi sia stata estrema cura, nello scrivere queste duecento pagine, e mi pare che nessuna riga sia stata lasciata al caso. Io, che sono uno che quando scrive non ama mai ripetere due volte, una scrittura così la apprezzo tanto, per lo stesso motivo per cui apprezzo i libri corti, che non si prendono più di quello che mi danno, in termini di pagine ed emozioni. Ma tornando a noi, alla scrittura di questo autunno scorso – per altro molto autunnale – credo che la cosa migliore sia mostrarvi facendomi leggere.
Poi però… Adesso ho altro da fare.
Tipo scannarvi la copertina, perché non ne ho trovata nessuna con una definizione decente o completa, in rete, e allora ce la metto io. Anche perché è una bella foto, ed è molto adatta al libro.
Che è piovoso, dentro, ma non piovoso triste, bensì piovoso malinconico, a cominciare dalle prime pagine.
Ma aspettate.. dimenticavo. Varie storie sul perché ho letto questo libro.
Mi è stato gentilmente offerto in recensione dalla Scrittura & scritture (a proposito, un bel lavoro, a livello editoriale cartaceo) e io, come ben sapete, sono sempre un po’ restio a dire di sì.
Il senso di colpa del non leggere abbastanza in fretta, per prima cosa, o addirittura del non leggere proprio.
Poi c’è il fatto che con in media una decina di lavori “offerti in recensione” al mese dovuti dall’avvento del digitale si finisce per rischiare veramente di leggere cose al limite della decenza. 
Questo però si presentava bene…
E allora?
Be, Il libro è ambientato a Grado, punto a favore. La scrittrice è di Udine, punto a favore.
E poi ho trattato anche con Monica, la bibliotecaria di dove lavoro adesso, con un dialogo di questo tipo:
“Oh, senti Monica, ti interessa mica questo libro?”

“Boh, non so, ambientato a Grado, sembra roba per donne”

“Ah, beh, ma perché?”

“Mah, potrei averlo per recensirlo sul blog blabla”

“Ah, beh, prendilo, no? Poi lo dai alla biblioteca”

“Eh, si, graziealcazz, ma lo devo leggere! Facciamo così, lo leggi prima tu, ti va?”

“Ah, beh, si, ma perché”

“Beh, se è bello me lo leggo pure io, ché tanto è corto, sennò me lo racconti o mi ci fai la recensione tu”

“Okay!”

“Fatta”

Ecco, ed è successo così eh. Lo ha letto prima lei e mi fa. Ma sai che è bello?! Ma proprio scritto bene! Ah, okay, e allora, mi son detto, provo a leggerlo. E ho interrotto ciò che stavo leggendo per.
E l’ho divorato, al mare, sotto il sole, scottandomi le chiappette, e godendomelo tutto, in solitaria, nella sua melanconia autunnale che lega le pagine e le vite che qui si raccontano.
E non so se lo donerò alla biblioteca, perché è uno di quei libri che ti piace avere, che un domani puoi cercarti e magari aver voglia di aprire a caso e rileggere qualche pezzo.
Oh, ma la sto facendo lunga.
Di cosa parla, orsù.
Di vita. Parla di esistenza, di famiglie, di rapporti, di destini. 
Di provincia, anche, e di storie da raccontare e che meritano di. 
C’è un fortissimo uso di analessi e una scrittura molto paratattica, ma che non toglie mai il fiato, ma fa della  brevità dei periodi una sorta di pennello, dipingendo senza mai sbavare. La lettura che ne esce è agevole, soprattutto perché è una scrittura di mestiere, ma sincera. Sapete… hai sempre il problema – quando qualcuno con poca esperienza cerca di dare colori e sfumature – di vederlo, tra le righe, dietro la sua tastiera, che smanetta con thesaurus. Qui no, c’è davvero padronanza e proprietà di lessico, e ho l’impressione sia uno di quei testi dove l’autore è editor di se stesso, nel senso che ci sia davvero una cura maniacale del dettaglio. Ma basta parlare a vanvera, so che volete leggere qualcosa, per capire, poi vi dico della storia.
Apro a caso e vi trovo tre cose. Intanto un passaggio con descrizione ambientale… Eccolo!
In giro non passa un’anima.

Altro che romantico, un paese di mare semisepolto
dalla nebbia esala un fascino spettrale. In agguato c’è soltanto la notte. Vuota, poco ospitale. Che cosa si aspettava, del resto? Trent’anni e più di assenza, pensioncina da poveri, cena solitària, campionario umano prevedibile, le ombre dei lampioni e qualche foglia secca e crepitante
sotto i piedi. Il clima ideale per perdersi tra i vicoli o arrampicarsi sopra i tetti a contare le stelle.
Nei posti amati dell’infanzia non si dovrebbe tornare da adulti fatti e finiti. Si rischia di smarrire persine il senso della nostalgia, di intenerirsi davanti ai negozi che espongono mercé già avariata, di indignarsi per il becero fiorire delle antenne satellitari. Tanti paracadute chiusi lassù sui terrazzini, in mezzo alla biancheria gonfia di brezza estiva e ai motori ronzanti dei condizionatori d’aria.

Poi vorrei lasciarvi una descrizione di personaggio, che sono tutte molto belle e azzeccate, partono con pochi tratti e si sviluppano via via, una riga qua e una riga là, fino a regalarci, a fine libro, la sensazione di conoscere almeno una dozzina di persone che potremmo incontrare appena chiusa la pagina. Vediamo…
Trovato!!! Anzi, vi dirò di più, ho trovato un passaggio lunghetto che mostra non solo la descrizione dei personaggi, ma anche la mescolanza tra discorso diretto libero e tra virgolette, che viene usato in modo davvero particolare, mescolandolo senza nemmeno far accorgere il lettore. Aspettate che scanno e vi mostro…
In visita dai signori Mergani, lei, mamma “e papa, domenica d’inverno. I Mergani abitavano a Pordenone in una palazzina grigio topo appesantita da balconi di vetro smerigliato. Una coppia senza figli e senza passioni che languiva in attesa di un evento rivoluzionario, fosse pure la visita mensile della famiglia Sparaviero. Il marito, Ascanio Sparaviero, silente e donnaiolo, la moglie Lea, loquace e stordita, una bambina emaciata causa l’assenza di appetito e con un nome irrazionale. Domiziana! E un cane, il beagle Nibbio incrociato con un volpino affetto per contrasto da un’ingordigia patologica, che gli Sparaviero dovevano portarsi dietro perché a lasciarlo a casa da solo rosicchiava i tappeti, e che la signora Beatrice Mergani imbottiva di biscotti fino a schiattare. Dai Mergani pranzavano in maniera luculliana nonostante le promesse di frugalità, oh, soltanto un consommé e un’insalatuccia, e dopo il terzo vermuttino la signora Beatrice diventava curiosa.

«Davvero lo ha scelto lei codesto nome da operetta?» chiedeva rivolta alla poltrona dove sonnecchiava la signora Lea.
Ci mancherebbe che non lo avessi scelto io, sono io che me la sono tenuta nove mesi a mollo, io che l’ho cullata in un mare di bollicine e zucchero filato e che mi sono squarciata le viscere per metterla al mondo. Mio marito la voleva chiamare Mariasole, Ester o Veronica. A lei sembrano nomi ragionevoli per una neonata? Sì sì, ribatteva la signora Mergani. Ra-gio-ne-vo-lis-si-mi.
Al ritorno da Pordenone verso Udine incontravano la coda, il flusso di luci anabbaglianti sulla corsia opposta o l’inciderìte mortale sull’incrocio. Procedevano a venti all’ora, il signor Sparaviero dava pugni al volante e apriva compulsivamente il finestrino, la moglie lo stuzzicava con la storia dei nomi.
«A te sembravano adatti, ti parevano adatti Veronica o Mariasole?». «Sì Lea, sì cara, hai ragione. A dire il vero hai scelto tu anche l’altro nome ma fa niente, è giusto così.»
Seduta sul sedile posteriore accanto al cane Nibbio, Domiziana considerava tra sé e sé che l’unica che avrebbe avuto il diritto di scegliere il proprio nome era lei. Ma nessuno degli adulti presenti pareva accorgersi di una verità tanto rudimentale.

Vi piace? A me molto. Poi okay, capiamoci, qualcuno potrebbe storcere il naso e dire che con questo modo di scrivere ne potrebbe uscire un ritmo un po’ sincopato, che alla lunga stanca, ma invece il libro ha solo 200pagine e non accade, e ci sono momenti lievi in cui qualche dialogo o qualche fatto ravvivano e staccano… insomma. Tutto funziona.
Però adesso basta parole ché mi è venuta fame, e forse meglio che mi faccio lo spuntino mezzanottino e vi saluto, dicendovi in tre righe di cosa parla la storia. 
Domiziana, la protagonista (ma lo è veramente?) torna a Grado, dove passava le vacanze da piccola, dove cerca il suo passato, dove si stacca dal presente. Ci racconta, con tutto il suo ieri, della sua famiglia, della madre Lea, del Padre Ascanio, del marito, del lavoro, di tutto quello che pian piano vien conoscendo, lì, nel mare d’inverno. Viaggiamo nel suo passato tra Roma, Londra, Udine, Venezia… Ci racconta una provincia del nord-est che viene a contatto con il resto del mondo… E ci racconta persone, soprattutto, e vite. Ecco, sì, c’è tanta malinconica vita, in questo romanzo, che si regge su una trama sottilissima, una storia di storie intrecciate che però, se le sai raccontare (e osservare) bene, diventano avvincenti. 
e’ tutto, ciccipucci, se vi capita, pigliatelo, e non è un libro da donne, eh, come ho detto sopra. E’ un libro scritto bene, e come tutti sanno, le cose fatte bene, non hanno sesso 🙂
Leggetelo, o regalatelo, che fate una cosa buona.

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