"La lucina" di Antonio Moresco****

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"La lucina" di Antonio Moresco****

Elisa… ma ti posso confessare che a me, il finale, non è del tutto chiaro?
Non che ritenga debba esserlo, eh, quel che c’è da capire, si capisce. Intendo dire come va a finire la storia dei due, parificati, finalmente, nella condizione, questo si capisce, e okay, era atteso. Però quelle parole che pronuncia il bambino, e invece, secondo me, avrebbe dovuto dirle il narrante, ecco, non so. Magari avrò capito male io, ma c’è qualcosa che mi sfugge, in quelle ultime due pagine, col dialogo definitivo, mentre va benissimo, e non poteva essere altrimenti, l’ultima riga, che poi, alla fine, è il succo dell’intero romanzo.
Ma partiamo dall’inizio.
L’inizio è che secondo il mio piano di lettura, io adesso dovrei star leggendo Doppio sogno, di Schnitzler, che in effetti riposa sul comodino e forse, magari, stasera, comincerò.
Però qualche tempo fa, Elisa mi disse di leggere questo “La lucina” di Antonio Moresco, e io No, no, no… ho già troppe cose da
E lei mi fa, Ma è sottile, scritto in grande, si legge in poco. Okay… era vero. E’ un libro che nella mia vita precedente avrei letto in una mattinata di mare, ma in quella attuale, molto meno pacifica e rilassata, ho impiegato più o meno un mese. E mi è toccato, anche, leggerlo, visto che alla fine l’ho fatto comprare alla biblioteca e non potevo non volerlo, una volta arrivato.
Dunque… è bello? Sì, è un bel libro. Un libro in cui, volendo, c’è parecchio da dire, e che, forse, eviterei di dire. Non sono per nulla d’accordo con qualche recensioni che ho letto in giro. Per esempio questa, che vi prego di leggere solo se non avete intenzione di leggere il libro. 
Si dice praticamente tutto, spoiler a manetta, lasciando praticamente non-detto solo il finale. Ora, è vero che il libro ha un lato poetico e allegorico che va molto oltre la storia narrata, però è anche vero che si regge su una forte narrazione di fatti. Benché la trama si possa riassumere in 2-3 righe, questo romanzo è fatto di una serie di rivelazioni successive e non posso negare sia costruito con sapienza. 
Ti fai domande, immedesimandoti nel protagonista, io narrante i prima persona, e le risposte fioccano via via, con una tecnica semplice quanto ben applicata: rivelazione a fine del capitoletto.
Così scopriamo cos’è, quella lucina, da dove viene, chi la accende, se qualcuno la accende…
Ed è bello scoprirlo via via, e non saperlo già prima. Ovvio, avrei molto da dirvi sul rapporto tra i due protagonisti del racconto, anche perché le parti con i loro dialoghi sono le migliori, con l’io narrante che si fa e non si fa le domande che tutti noi ci faremmo, mentre l’altro gli risponde a punti esclamativi e con una naturalezza disarmante. E benché qualcuno possa pensare di chiamare in causa il piccolo principe, scordatevelo, perché qui siamo in zone molto concrete e poco filosofeggianti. 
Se non altro perché tutti sono abbastanza legati alla quotidianità, dove per vivere serve corrente elettrica, un cesso, fare la spesa, ecc… 
Ma vi devo dire prima di cosa parla il libro, va. 
Allora, Antonio Moresco, che scopre essere personaggio con una certa esperienza letteraria ed editoriale (e un po’ di lotte alle spalle con questo mondo), ci parla di una prima persona che ha deciso di vivere da sola, in montagna, in una villaggio abbandonato oramai dall’uomo. Mi è venuta in mente la situazione di molte valli della Carnia, e del cividalese, qui in Friuli, dove questi paesi e queste situazioni esistono. Ci sono agglomerati di case svuotati e alcuni ripopolati o che durano con anche un solo abitante. Quando muore è finita, si tornerà al paese fantasma. 
Non nascondo, quindi, che ci sia un po’ di furbizia in questa situazione iniziale, nel senso che è piuttosto facile descrivere la natura in un contesto poetico e di enorme impatto visivo e armonico, come il nostro protagonista che, logicamente, ci fa amare le piante e le rondini, i tassi e le lucciole, i cinghiali e i fiori e persino il terremoto. Questo è un libro giocato sulle dimensioni, sul rapporto tra infinitamente piccolo e infinitamente grande, e c’è una parabola che dura e si sviluppa lungo le 167 pagine (scritte in grande, con sapienza) che dai numerosi diminutivi porta a riflettere sull’immensità del ciò che ci circonda, sia esso conosciuto (la valle, la montagna, il tempo, il mondo) sia esso sconosciuto (le galassie, l’aldilà).
Quindi ci sono motivi ben precisi per cui non solo c’è una lucina, che si accende, sull’altro versante della valle, ogni notte, dove invece non ci dovrebbe essere niente. Ci sono manine, piedini… e c’è il parlare con gli animali, che non rispondono mai, e c’è soprattutto una natura che – incontrollata – si riprende ciò che è suo, ma lo fa in modo quasi crudele, violento, seppur con tempi molto lenti. 
Ecco, è dentro qui che si sviluppa una poesia che, a tratti ho trovato molto bella (per esempio pensare al mistero del volo delle rondini, o alla vegetazione che ricopre e distrugge le abitazioni abbandonate e alla bellezza del come lo fa) ma a tratti, soprattutto verso la fine, ho trovato leggermente stucchevole, anche se non fastidiosa.
La scrittura è molto rotonda, aggiungo. Molto leggera, curata, e penso che potrebbe essere un buon libro da leggere ad alta voce, se non altro perché è zeppo di colori, suoni e profumi.
Quindi? Soddisfatto?
Sì, a me è piaciuto. Non in ogni parte, perché certe riflessioni le ho trovate un po’ pesanti, ma va detto che sono all’interno di una prima persona di un tale che si è isolato completamente dal mondo e vive in solitudine (tema tra quelli portanti, del romanzo), con pensieri che sono la logica conseguenza dell’isolamento.
Non si sta, soli. Ecco.
Bene… non vi dico altro se non prendere il libro e copiarvi un pezzo a caso, perché secondo me è il modo migliore di spiegarvi tutto quanto e farvi capire se per caso vi va una lettura breve ma intensa e non pesante. Anzi, sentite, vi copio un pezzo che sta avanti, nel libro, ma che mi è piaciuto molto. Inserti che sembrano non avere importanza, ma invece, allegoricamente, ce l’hanno. E si trovano anche tutti i diminutivi. Ve lo copio a pezzi…

Stamattina ho trovato una farfalla morta, tra la zanzariera e la finestra, dove è rimasta evidentemente intrappolata senza che io me ne accorgessi. […]
Ho aperto la finestra. L’ho presa per un’aluccia stecchita e sono andato a buttarla nel gabinetto. Ho tirato l’acqua, ma non è stata inghiottita. Ho aspettato che la vaschetta si riempisse e ho tirato di nuovo l’acqua. Continuava a volare là dentro, in fondo al water, nel mulinello dello sciacquone.
E’ andata avanti così per un giorno intero. Tornavo ogni tanto a vedere se la farfalla cera ancora, se si era finalmente dissolta. Ma era sempre là, a filo d’acqua, leggerissima ma indistruttibile, neppure un frammento delle sue ali che sembravano così fragili si era staccato. Orinavo nel water, colpendola col getto, dall’altro. Ma non si rompeva. Tiravo di nuovo l’acqua, la farfalla riprendeva a mulinare là in fondo. Quando l’acqua finiva di scrosciare nel piccolo spazio dello scarico, la farfalla era ancora là, galleggiava a filo d’acqua con le sue ali aperte, stecchite: indistruttibile, intatta. […]
Prima di andare a dormire, sono andato a guardare un’ultima volta dentro il water. La farfalla era sempre là. Ho tirato di nuovo l’acqua. Ha turbinato un po’, nel mulinello dello sciacquone. Poi è riemersa, con le sue ali completamente allargate, immobilizzate nel punto della loro massima espansione.
Mi sono chinato, ho allungato la mano dentro lo scarico e l’ho tirata fuori dall’acqua. Con l’altra mano ho staccato alcuni segmenti di carta igienica e li ho avviluppati due o tre volte attorno al corpicino irrigidito della farfalla, per fargli acquistare peso.
Ho tirato un’ultima volta l’acqua.
Solo allora, avvolta nel suo sudario, la farfalla si è finalmente inabissata.

Comments

  • 10 Marzo 2014

    Che vuoi che ti dica? Io ho dato la mia interpretazione, tu dai la tua. Lui non poteva lasciare quel bimbo solo… E' un libro che lascia il segno.
    Un giornalista scrisse:
    . La lucina ha per Moresco un vero e proprio valore testamentario, è lui stesso a dichiararlo, proprio per le caratteristiche intime e segrete del testo. Un libro da rileggere e meditare, forse non per capire, ma per coltivare l’irrinunciabile stupore per il mondo, per i mondi. “C’è solo, da ogni parte, questo disperato pullulare di vita e morte attraverso il tempo, lo spazio, questo disperato fantasticare…”.

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    • 10 Marzo 2014

      già, alla fine sì, anche io mi sono fatto l'idea del non poter lasciare solo il bimbo, alla fine c'è malinconia, ma non tristezza, sia nella vita sia nella non vita, ma la scelta è arrivata perché ogni tanto si mette davanti gli altri, a se stessi. Sì, un libro denso. Grazie per il consiglio. 🙂

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