"Quel giorno pioveva" di Paola Zannoner***
Quando metti via i libri ci sono alcune scelte dei lettori che apprezzi. Non, non a livello culturale. Nomi come Camilleri, Sparks, Smith, Patterson, Cussler, Deaver, King, Steel, Casati Modignani e altri che non vi sto a elencare, hanno uno scaffale, o forse anche due, tutto per loro, anche perché ci devi ficcare delle decine di libri. Li apprezzi, quindi, solo perché ti fanno lavorare di meno: non devi cercare dove sono, non devi stare attento a come ricollochi il loro libro.
Ecco… nella saletta youngster, cioè per ragazzetti, cioè per quelli che non leggono, soprattutto i maschi, uno dei pochi nomi italiani che hanno questo privilegio è quello di Paola Zannoner. E allora, siccome sono curioso, mi dico sempre “oh, prima o poi devo leggere qualcosa di questa tizia”.
Va detto, che questa frase, io me la dico almeno 5-6 volte al giorno, per stare bassi. Quindi è chiaro che non lo faccio, poi.
Però sto giro l’ho fatto e direi che ho fatto bene.
Uno, perché avevo dimenticato il mio solito corto de I corti, e quindi ho dovuto pigliarne un altro perché mi dava fastidio lavorare troppo.
Due perché stavo leggendo Io sono le voci di Arona in cui si parla di omicidi dei primi ’70 passati in secondo piano in quanto c’erano cose con più forza d’urto informativa, come bombe, fascisti, stragi e brigate rosse.
Tre perché è un bel libretto, molto consigliabile anche se, avverto, non ha di quel piglio che può far leva sui non-lettori.
Scrive una quattordicenne, okay, ma al passato, e ci racconta di ciò che ha vissuto. E ce lo racconta con parole semplici e molto scorrevoli e lo fa bene. E’ molto brava, soprattutto, a entrare in rapport col lettore, a fargli pensare, mentre legge, che Sì, cavolo, è successo anche a me, mille volte, ero in ritardo, e il cane, sì, proprio così, e pure pioveva… Ecco. Ti entra subito. E se non leggete la quarta di copertina, ecco, non è che lo sapete che si sta parlando di Brescia e dell’attentato del 1974, piazza della Loggia, comizio rosso di cui ancora non si hanno colpevoli.
E anzi, siccome non mi pare se ne sia parlato, vi dico anche che quattro giorni fa hanno riaperto il processo a carico dei due imputati finora assolti. Non sia mai che si cava qualcosa, anche se quarantanni dopo.
Ma parliamo del libro, Quel giorno pioveva.
e’ buono, e dentro ci trovate persino David Bowie, quello dell’epoca, quello degli anni ’70, glamour e femmineo, della copertina di Aladdin sane, che è un filo rosso per la 14 enne Camilla, che quel giorno di maggio per mille stracazzi non è riuscita ad andare a scuola in orario. E ce lo racconta, di quella giornata.
Che non la lascerà senza conseguenze, anche se no, lei non sarà tra gli otto che ci lasceranno il guscio, in piazza della Loggia.
Il pregio è soprattutto la densità. Io, lo sapete, sono un sostenitore delle poche parole (non a caso leggo tante novelle, libri corti, come questo, in una collana che si chiama Shorts) e quando in una 60ina di pagine si riesce a raccontare non solo della protagonista, e del matrimonio interrotto che hanno i suoi due genitori (padre andato, madre inacidita e disillusa, che bada solo al lavoro), ma anche di fatti di scuola, di amici e preconcetti, di modi di vivere dell’epoca e di David Bowie, ficcandoci anche un germe di infatuazione nel finale, be’, mi fa piacere. Significa che si ha capacità di gestire bene la scrittura e non sbrodolare, qualità che tanto farebbe bene a molti romanzi attuali per i più giovani.
La chiudo qua, dai. Oggi niente segnalazioni, troppo sonno per. Sarà per il prossimo corto inutile, che mi sono appena finito di leggere, tra volante e sala d’aspetto…