"I luoghi" di Piero Chiara***

"I luoghi" di Piero Chiara***

Eh… lo so, di solito vi scanno la copertina, ma oggi sono qui al lavoro, ho occupato un ufficio, in attesa di fare reception, e non ho lo scan, ma ho tre quarti d’ora e voglio aggiornare il blog, anche perché così, voi aspiranti copioni, scoprirete di che cosa parla questo piccolo libro che mi è costato un euro, di racconti, o meglio, istantanee, di Piero Chiara.
Mi sono appassionato, a questo autore, con la lettura dei raccontini del sole 24 ore di qualche tempo fa. E’ uno di quegli scrittori dei quali, dall’opera, traspare la netta impressione che sia una brava persona
Poi magari un po’ birbante, scherzoso, bonariamente selvatico, pigro anche. ma estremamente colto e moralmente retto. 
Anche con gente come Buzzati, o Calvino, ho queste sensazioni.
E insomma, figuriamoci se non lo compravo e leggevo subito questo piccolo libretto che raccoglie gli scritti di Chiara dedicati ai suoi luoghi.
Descrizioni, per lo più. Brevi o brevissime istantanee, dicevo, dove ci descrive e racconta posti in cui lui è stato, ha vissuto, ha interpretato. Non è una lettura che posso definire avvincente. Mancano, a parte il pezzo di apertura e forse un altro, una trama, della storia, degli accadimenti.
E a me manca soprattutto la conoscenza diretta dei luoghi vicino a Luino, o delle sponde del Lago Maggiore, di posti come Asolo, Belgirate, Zug, il Rodano, la Valsolda… luoghi che alla fine non hanno nulla, se non il non avere nulla e averlo bellissimo. La provincia, insomma, quella più montana, dei paesetti, ma non solo quella, ma anche un po’ di Svizzera, Parigi o San Sebastiano in spagna.
E nel descrivere, Piero, ci mostra, ma non tanto con la vista, quando con le abitudini, con le persone, con l’aria che si respira. I primi due brani, per dire, sono molto belli, ma sono leggermente avulsi, dal resto. Il primo è quasi un racconto fantastico, con il protagonista che incontra un morto che gli spiega i morti, ma il secondo parla di un calzolaio, artigiano artista, sputtanato e soggiogato, alla fine, dalla figlia, incarnazione delle generazioni nuove, avide e superficiali.
Poi, da qui, sono tutti luoghi. Ci sono 11 racconti totali che vi porteranno dalla sua Luino alla scoperta di cosa sono i piliprand. Sono belli, questi racconti? Alcuni sì, davvero. Quasi tutti. Altri, pochi, un po’ meno, e forse fanno volume, essendo soprattutto una sorta di un diario di viaggio, in ogni caso scritto molto, ma molto bene.
E sono, anche, strapieni di citazioni, di Fogazzaro, D’Annunzio, Porta, Petrarca… insomma, rileggendo adesso mi pare quasi strano che stiano tutti in queste 90 pagine molto piccoline. 
Poi, dico subito, si capisce subito che non è qui che va cercata la personalità dell’autore. Qui c’è una sorta di sfumatura, un materiale che te lo fa conoscere, anche per il profondo risvolto autobiografico, tanto che sono tutte prime persone molto dirette, in cui mai si nasconde chi sta scrivendo e spesso si fa nomi e cognomi di vie e persone comuni, della cui verità non abbiamo bisogno di dubitare.
Okay, penso proprio che basti, per un piccolo libro come questo, non posso mica tediarvi più di tanto… Però se sabato o domenica strappo cinque minuti dal maglione del tempo vi scanno un pezzo di raccontino, magari uno bello… vediamo… sì dai, vi scrivo quello sul Rodano, il Petrarca e Rilke… ricordate di ripassare!

Ecco qua!

Chi dopo aver passato il Sempione percorre, in treno o in automobile la valle del Rodano, tra Briga e il lago di Ginevra non nota altro che l’emergere sul piano dei castelli di Sion e, solo di sfuggita, il fiume biancastro che scende alla sua prima foce, nel lago che traverserà senza disperdersi molto, per poi passare in Francia. L’attesa del viaggiatore è per la distesa riposante del Lemàno o per l’arcadica campagna francese se la sua meta è Parigi. Una lunga valle, il Vallese, da passare in fretta, da lasciare alle spalle.
Il Petrarca, quando la percorreva pacificamente in carrozza o a cavallo diretto a Avi-gnone, invidiava il Rodano, che più sollecito di lui e senza bisogno di soste, correva verso Provenza dov’era quel «vivo e dolce sole» per cui vergava tante carte e versava dolci lacrime. Diceva al Rodano guardandolo con dispetto:
«Rapido fiume che d’alpestra vena rodendo intorno, 
onde il tuo nome prendi
notte e di meco desioso scendi 
ove Amor me, te sol Natura mena, 
vattene innanzi: il tuo corso non frena 
né stanchezza né sonno».
Non solo il sonno e la stanchezza rallentavano il viaggio del poeta, ma anche la necessità di rifocillarsi, a tavola, dove certo chiedeva acqua com’era suo costume, nonostante che la valle fosse già ricca di delicati vini. Sperava intanto che Laura si dolesse del suo tardare e centellinava, in luogo dell’odiato vino, la trattenuta ansia di quel suo modo di viaggiare a piccole tappe, carico di libri e di pensieri. E non potendo far altro, dava al frettoloso fiume un delicato incarico:
«Baciale il piede o la man bella e bianca. 
Dille (e ‘1 baciar sia ‘n vece di parole): 
Lo spirto è pronto, ma la carne è stanca».
Utilizzava così per una bella immagine poetica e per uno dei suoi più torniti sonetti, il Rodano e la sua valle, altrimenti muti ai suoi occhi di gran viaggiatore e d’impaziente amante.
Toccò, mezzo millennio dopo, a un altro poeta viaggiatore, Rainer Maria Rilke, lasciarsi fermare dal Vallese, fino a farne un luogo d’elezione, una sosta definitiva nel suo inquieto vagare, e infine la sede dalla quale avrebbe affrontato l’eternità.

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