"La pecora nera" di Ascanio Celestini***

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"La pecora nera" di Ascanio Celestini***

Comincio il primo post dell’anno con il libro del primo dell’anno. Mi sembra un dovere.

Da domani sarete assaliti dall’articolo su Lansdale, ma oggi vi parlo di questo: La pecora nera, di Ascanio Celestini.
Il libro.
Sì perché ora che l’ho appena cercato su goooogle ho scoperto che le prime due pagine di risultati parlano solo del film. Il film di qua, il film di là, ha vinto questo, ha dato fastidio a quest’altro. Film film film.
Io nemmeno lo sapevo che esisteva il film.
Cioè… l’ho scoperto leggendo qui sul libro, che da questo libro è nato il suo spettacolo teatrale (di cui c’è il dvd), e poi anche il film.
Anzi, a dire il vero, io, Ascanio Celestini, a parte un paio di fugaci apparizioni televisive, lo riconosco solo per il cameo lasciato nell’ultimo disco di Frankie Hi-nrg MC, quello sul Call Center (potete ascoltarvela, se vi va, è carina).
Vi dirò di più.
Quella Marinella di cui Ascanio parla in quella canzone-sketch, me la sono rivista nel libro, quando lui parla di Marinella. L’ha fatto suo, quel nome, il buon Ascanio. Che poi, a dirla tutta, lui ha quella qualità che io chiamo magnetismo. Non è importante quel che dice, a tratti, ma il come. Provate, sempre in tema di Call Center, a guardarvi questo, e ditemi se è facile staccarsi dalla sua parola:

Comunque, noi siamo qui a parlare del libro.
Il libro che è diventato libro del primo dell’anno perché aveva le caratteristiche adatte, ovvero:
Corto (94 pagine, abbastanza da finirlo in giornata)
Non solo intrattenimento (Una storia di manicomio elettrico non poteva essere vuota)
Di autore che non conosco e magari trasversale.
Era in ballottaggio con il bambino ostrica, ma poi il destino ha voluto questo ed è stato meglio così.
Sentite come comincia questo libro.
Un attimo che ve lo ricopio.

Io sono morto quest’anno.
Tutti volevano morire quest’anno.


Chi ha vissuto fino a oggi ha visto tutto quello che si poteva vedere.
Ha visto i cani nello spazio, gli uomini sulla luna e un robot a rotelle su Marte. Ha visto esplodere New York, Londra e Madrid e non più soltanto Kabul e Baghdad. ha visto l’ovetto Kinder che trasforma tutti i giorni dell’anno in una Pasqua infinita. Ha visto il latte in polvere, il vino in tetrapak e le fragole con l’aceto.


Tutti volevano morire quest’anno perché dal prossimo non si vedrà niente di nuovo. Il mondo si ripeterà come la replica di una trasmissione andata già in onda. Il futuro sarà un riassunto delle puntate precedenti. Da domani anche lo sterminio sarà uno spettacolo noioso.

Più da inizio anno di così!
Che poi, altra notizia, non l’ho mica letta in riva al mare, questa frase. Cioè, in riva all’acqua sì, ma non in riva al mare. Perché è successa una cosa curiosa. La cosa curiosa è che una volta arrivato sul bagnasciuga, mentalmente pronto all’isolamento, tiro fuori dalla tasca il libro e cosa scopro? Che porcaminchia, nel  buio e nel rincoglionimento del mattino, mi sono preso il libro sbagliato, quello di Ammaniti che mi ero finito il giorno prima.
E allora che si fa?
E allora ecco che ho pensato il mio primo buono proposito dell’anno, ovvero che il futuro, in questo caso la mia lettura in riva al mare, non era che una mescolanza di passati, in questo caso il mio dimenticarmi il libro. Bene. Che si fa? Si torna indietro a cambiare libro, ovvio. E mentre ritornavo, e pensavo anche la cosa del pinguino e della gru, ho pensato che non valeva la pena, di tornare in riva al mare. Ho pensato che per quest’anno la lettura sarebbe stata in riva alla laguna. Alla faccia del killer che da un anno mi aspettava per farmi fuori e in barba alle scelte sbagliate. Ecco perché, poi, dopo aver letto quell’incipit, mi è sembrato quasi che il libro mi avesse letto dentro, quel bastardo.
Comunque, fine dei cazzi miei.
Ora vi parlo del libro. Il libro è bello. Delicato e triste, come un buon libro di denuncia che si rispetti, e che evita di giocare sul fattore rabbia, dedicandosi di più al fattore poesia e al far ridere, anche, di quei sorrisi amari ma sinceri, di quando qualcosa colpisce.
E’ un libro che ti strega, in un certo senso.
Prendete per esempio il passaggio che mi ha convinto a comprarlo, quando l’ho aperto a caso, in libreria:

La sera mia nonna mi è venuta a prendere.
Io mi ero mangiato tutti i ragni della sagrestia.
L’avevo disinfestata meglio del diddittì.

E’ Nicola che parla. Nicola il protagonista del libro, che ha subito il manicomio elettrico, perché sì, Nicola tanto giusto non era, forse, ma nemmeno tanto sbagliato. Ed è proprio Nicola che ci parla, assieme a un altra voce che ci racconta di lui, e che scopriremo alla fine. Credo che basterebbe raccontarvi di Nicola che conta le scurregge della suora sorda del manicomio e lei che pensa lui stia dando i numeri, per farvi innamorare del libro. (A proposito, ho visto lo trovate su bol col 30% di sconto, adesso)(anche perché 11 euro per 90pagine sono tanti eh).
Poi certo, non è una opera magna. E’ un libretto magro e che spesso gioca sull’anafora, e non sto parlando solo dell’incipit, che diventa tormentone a rischio stucchevolezza. Parlo anche della tecnica narrativa che vede il ripetere spesso una frase, una immagine soprattutto, quasi a voler scandire un tempo, un ritmo di lettura e un ritornare, imperterrito, a quell’immagine, come appunto fanno i matti (matti?) che ripetono spesso, e focalizzano l’attenzione, su dettagli. In questo caso sulla nonna di Nicola che si veste da vecchia, sull’ovo che “c’ha ancora la puzza del culo della gallina“, sulla paura del buio (che di paura di buio si può anche morire) e sul manicomio elettrico, ovviamente, vero cuore del libro e della sua tragicità.
E purtroppo, forse, siamo troppo abituati a questo luogo comune che i manicomi sono il Maaaaale, e aiutare i malati di mente è il Beeeeeene, e gli infermieri sono Cattiiiiiiivi, mentre i malati di mente sono Buoooooni, per poter cogliere la tragicità di una terza lettura, che vede l’assenza di male e bene, ma solo l’incomprensibilità umana rispetto alla sua stessa natura, quando si tratta di “mente”, di pensieri e di cervello.
Ti resta un buco, dopo averlo letto.
Un buco che magari nascondi con le risate, ma non del tutto. Un buco che è quasi domanda, perché in fondo, Nicola, il Nicola che muore, come sua madre, con la corrente nel cervello, poteva essere chiunque, e chissà quanti chiunque ci sono, in giro, che non sono diventati Nicola.
Bene.
Vi lascio con una canzone di Frankie, una delle poche canzoni che so a memoria, quanto mai attuale, in questi tempi dove i decoder ci stanno lanciando contro eserciti di scimmie mediatiche radiocomandate. 
Spendeteli, questi due minuti, che vi fa bene:

Comments

  • 6 Gennaio 2011

    Ecco, questo ora mi incuriosisce…
    Hai ragione, l'inizio è bellissimo.
    E interessante, intrigante l'idea che una volta tanto le cose non stanno come siamo abituati a pensarle sempre e comunque.
    Ti ricordi le pecore della "Fattoria degli animali", col loro "Quatro gambe, buono! Due gambe, cattivo!" che copriva ogni altro discorso?
    Se lo trovo scontato anche in libreria so qual è il mio prossimo acquisto…:)
    (Minchia però che tritapalle quel video sul call center, l'ho dovuto chiudere dopo un minuto e mezzo, non lo sopportavo più).
    Frankie Hi NRG è il mio mito… 🙂 Non a caso, è delle nostre parti 😀

    reply
  • 6 Gennaio 2011

    a me invece piace 🙂 la cosa del craxismo e quella del call center è una sacco simpatica 🙂
    Comunque sì, i Di Gesù è sempre piaciuto assai anche a me.

    reply

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