Sixta Pixta Rixa Xista di Elena Vesnaver ****

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Sixta Pixta Rixa Xista di Elena Vesnaver ****

pagine 69 – euro 6.50
Magnetica Edizioni
Collana: streghe

Recensire un libro di un autore conosciuto, anche se per lo più via web, potrebbe essere difficile. Difficile se si crede che parlandone troppo bene si corra il rischio di essere poco credibili. Oppure difficile se si pensa che parlandone troppo male, l’autore legge, oppure non sta bene parlare male di uno non famoso ecc. ecc.
Se poi penso che questo bel libretto me l’ha autografato pure, la cara Elena, come fare a parlarne male.
Per fortuna il libro rende immuni da questi problemi. Per due motivi: primo, è delizioso, secondo, emoziona. E direi che davvero non è poco.
Le righe che seguono sono, come al solito, la recensione ben vestita, quella per Scheletri.com, mentre questi sono i pensieri più personali.
Dicevo che il libro è delizioso, e mentre lo leggi magari non te ne accorgi, ma una volta terminato, quando bene o male questa storia d’amore (e sia chiaro che a me le storie d’amore di solito non piacciono) ti ha coinvolto e fatto male, ecco, allora ci ripensi e ti accorgi di quant’era delizioso. Ripensi a Madalene, a Berto, al gjatut, a Nicolau, al prete, a li faliscjs e all’aria frizzante. Ripensi alla tristezza della crudele ignoranza che è semplicemente storia. Ripensi a cosa vuol dire scrivere con garbo. E per chi scrive, come me, capisci una volta in più cosa significa avere uno stile. Che può piacere o meno, ma che è uno stile. E tanto per chiacchierare, forse alcuni potrebbero chiamarlo spocchiosamente uno stile “lirico”, ma è una di quelle etichette, come minimale o barocco, che fanno pena, e non si adeguano a nulla. Io preferisco dire che è un libro garbato, di un garbo che emoziona e s’imprime. punto. Per l’acquisto, cliccate qui, e magari se aspettate qualche giorno, aggiungeteci anche il libro del “Premio Scheletri” di imminente pubblicazione.

Lo giri e rigiri in una mano, questo librettino magro e delicato. Lo giri e rigiri e non capisci come riesce a farsi sentire così tanto, dentro, dopo averlo letto. Con quelle poche pagine… quei pochi avvenimenti… quei pochi giorni narrati. “Ma come faranno a starci così tante emozioni, qui dentro?” Ti chiedi.
Eppure ci stanno. Ve l’assicuro.
In copertina la mano dell’autrice occhieggia, mostrando la croce di sorbo che Luzie, la protagonista, tiene al petto, come talismano e protezione. Lo si capisce solo leggendo, che cos’è quell’amuleto, che l’autrice, per la cronaca, porta ancora con sé, nel caos della borsetta. E anche per il titolo, impronunciabile e misterioso, bisogna affidarsi alla seconda di copertina: è l’inizio di un’antica formula per scacciare le streghe. Streghe vere, nostrane, antiche, genuine. Streghe come Luzie, che vive a Cormòns, un paese(llo) in provincia di Gorizia, nel XVII secolo, e che, come sua nonna, conosce i segreti della natura, comunica con le piante e gli animali. Che sia preparare pozioni o assistere a una nascita, curare un amore non corrisposto o generarne uno, scontrarsi bonariamente con il prete o accapigliarsi con il benandant, Luzie ha un posto ben preciso, nella quotidiana vita del paese. Ed è questa pace e quest’armonia che, cinque giorni avanti all’Epifania, viene spezzata da un ospite indesiderato. Un uomo di chiesa a cavallo di un destriero scuro e tumultuoso, un uomo altrettanto tenebroso e irrequieto: un inquisitore.
Da questo incontro, nasce la storia d’amore di cui si narra. E diciamolo subito: questo libro è e vuole essere una storia d’amore. Un’autentica, feroce e poetica storia d’amore. Un amore impossibile, certo, fatto di pochi gesti, di sguardi, di profumi, di cenni, e di un solo, unico, bacio.
E attraverso questo amore, mescolate e luminose, scorrono le passioni e i personaggi. La terra, innanzitutto. L’inverno, gli animali, il fuoco, la primavera, le erbe, il cielo, le stelle, il vento. E la gente subito dopo. Il prete, i nemici, gli amici, gli amanti, i ricchi, i poveri, i vecchi. Il paese, insomma. Così presente da lasciarsi vedere per intero, in così poche pagine. E ci sarebbe molto altro da dire. Soprattutto dopo aver assistito alla presentazione del libro. Ma a volte ci sono cose che si godono meglio non sapendole prime. Ci sono interpretazioni che è meglio lasciare al lettore.
Mi piacerebbe lasciare solo un’unica avvertenza. Questo è un libro denso, elegante e gentile. Si può leggere in un’ora, forse anche in mezza. Ma sarebbe come degustare il vino svuotando il calice tutto d’un fiato. Il vino va assaggiato e gustato a piccoli sorsi, soprattutto quello buono.

Lascio anche l’incipit, perchè rende l’idea:

.Cinque all’Epifania

Luzie socchiuse gli occhi per difendersi dal sole infer­nale e per non perdere di vista le tre capre che brucavano con testarda determinazione, poi fischiò un richia­mo. Non aveva voglia di rincorrerle fino a chissà dove e quelle buone bestie si avvicinarono subito, continuando a masticare l’erba stenta e gelata che cresceva lungo il fiume.
La donna tirò un sassolino nell’acqua e la sottile cro­sta di ghiaccio si ruppe con uno schiocco leggero, Luzie si strinse di più nello scialle e appoggiò la fronte alle ginocchia magre. Se faceva freddo. L’inverno più fred­do da che era nata, forse il più freddo da sempre, chis­sà.
Il suono delle campane la riscosse, veloce e limpido nell’aria intirizzita e Luzie si accorse che era tardi, che doveva ancora fare quella cosa e doveva farla prima che venisse buio e in quella stagione, il buio, veniva sempre presto. Si alzò in piedi e sistemò bene lo scialle attorno al capo, i capelli corti non la proteggevano contro il vento che soffiava quel giorno e la infastidivano gli sguardi che la gente lanciava alla sua testa senza trecce.
Era successo due estati prima, quando si era presa i pidocchi e aveva deciso di tagliare i capelli per liberarse­ne in fretta. Alla fine le era piaciuto e non li aveva fatti più ricrescere, per la gioia e lo scandalo di tutto il paese. Anche il prete aveva provato a farla ragionare.

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